“Sono qui per dare il mio messaggio di speranza e di lotta contro il tumore del pancreas: 28 mesi fa mi diagnosticarono questa patologia, dandomi solo 3 mesi di vita. Era estate e dissero che non sarei arrivata a mangiare il panettone. Ma io mi sono detta: e perché no? E ho iniziato a lottare per sopravvivere“. A raccontarlo è stata Maria Leone, infermiera e paziente oncologica, oggi a Roma al palazzo dell’Informazione nel corso della presentazione del World Pancreatic Cancer Day, in programma il 17 novembre con una serie di iniziative di sensibilizzazione. La storia di Maria inizia con una serie di dolori all’addome: “Erano dolori ‘a sbarra’, quelli che ho poi saputo essere tipici del cancro al pancreas. Ma almeno da una decina di medici mi sono sentita dire che non avevo nulla, che forse era un problema alla schiena, che le analisi del sangue erano perfette. Che ero un po’ ‘fissata’, a volte. Io non mi sono fermata. Ho preteso un’ecografia, dalla quale non è emerso nulla. Finalmente ho effettuato una Tac, che ha evidenziato la neoplasia. E sono riuscita a individuare il centro specializzato di Verona, al quale mi sono rivolta per le terapie. Non è colpa dei medici, ma spesso non hanno gli strumenti o le conoscenze necessari per diagnosticare precocemente e trattare un carcinoma pancreatico. Bisogna rivolgersi a strutture ad hoc“. Mettersi nelle mani di centri specializzati, “ad alto volume di interventi di chirurgia resettiva – spiega Gabriele Capurso, responsabile ambulatorio malattie del pancreas, gastroenterologia, Ospedale Sant’Andrea, Università Sapienza, Roma – significa avere maggiori chance di sopravvivenza: i pazienti che vengono trattati in strutture a basso volume, infatti, muoiono nell’11% dei casi, mentre in caso contrario la mortalità si abbassa al 3%. In questi centri ci sono team dedicati che si occupano specificatamente di questa malattia e che possono assicurare le migliori cure possibili“.