Alzheimer: la terapia con flash di luce potrebbe fermarlo

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La luce per contrastare l’Alzheimer. E’ l’idea alla base dello studio, già testato con successo sui topi, dai ricercatori del Massachussets Institute of technology (Mit) che hanno verificato come una terapia a base di flash di luci stroboscopiche (come quelle della discoteca) negli occhi stimoli le cellule immunitarie a divorare le proteine beta-amiloide, che si accumulano nel cervello causando la demenza.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, evidenzia come il tasso perfetto di flash è di 40 lampi al secondo, un tremolio a malapena percepibile, quattro volte più veloce delle luci stroboscopiche della discoteca. Lo sviluppo di proteina beta-amiloide è uno dei primi cambiamenti che si osservano nel cervello dei malati di Alzheimer: essa si accumula, formando delle placche, che si ritiene causino la morte dei neuroni e la perdita di memoria. Perciò la ricerca sta cercando da tempo di prevenire la formazione di queste placche con i farmaci, ma i risultati finora sono stati deludenti. I ricercatori guidati da Li-Huei Tsai hanno tentato questa nuova strada: quando i topi sono stati messi di fronte ai lampi di luce per un’ora, si è notata una riduzione della proteina beta-amiloide nelle 12-24 ore successive, nelle parti del cervello deputate alla vista.

Ripetendo tale processo per tutti i giorni durante una settimana, i cali di proteina sono stati ancora maggiori. Inoltre stimolando l’area del cervello che gestisce la memoria – l’ippocampo – si è notato una riduzione di beta-amoloide lì. La luce funziona perché chiama a raccolta le cellule immunitarie che si trovano lì (le microglia), che agiscono da spazzine, eliminando agenti patogeni pericolosi, come le proteine beta-amiloide. L’obiettivo è quello di eliminare le proteine per fermare la formazione di placche, in modo da riuscire a bloccare l’avanzata della malattia e dei suoi sintomi. Si potrebbe in tal modo sviluppare una terapia indolore e non invasiva. Il metodo va ora provato sull’uomo, e ricercatori hanno già richiesto l’autorizzazione alla Food and drug administration.

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