Punto primo: Babbo Natale esiste. Secondo: non fa visita solo ai bambini buoni. O meglio, non è questo l’unico e il più importante fattore in gioco. E’ la scoperta di un team internazionale di ricercatori che per un giorno hanno deciso di chiudere in un cassetto il rigore e l’obiettività scientifica per dedicarsi ad approfondire un improbabile dilemma, sulla condotta – e l’equità – di un personaggio al di sopra di ogni sospetto: Santa Claus. Il tutto partendo dall’assunto che sia una persona in carne e ossa. L’occasione per sfoderare lo spirito natalizio la offre il numero speciale che il ‘British Medical Journal’ pubblica tradizionalmente a fine anno: una ‘Christmas edition’.
Lo studio, condotto dagli scienziati con base in Usa e Gb alla ricerca dei fattori che influenzano l’arrivo o meno di Santa Claus, sfata il mito dei buoni e cattivi. Babbo Natale non premierebbe sulla base di quanto bravi o monelli si sia stati nel corso dell’anno che volge al termine, sostengono gli autori. I risultati della loro indagine sembrano suggerire un ruolo maggiore giocato dagli aspetti socioeconomici nel determinare la visita del ‘nonnetto’ più famoso del mondo. Lo studio si è concentrato sugli ospedali con reparti pediatrici, e gli esperti si sono spinti a misurare persino la distanza di questi centri dal Polo Nord. Hanno esaminato ogni struttura del Regno Unito e chiesto dati per scoprire se Santa Claus l’aveva visitata durante il Natale del 2015. Secondo l’indagine, la probabilita’ di un suo arrivo è minore in aree svantaggiate.
Hanno poi fatto una correlazione con i tassi di assenteismo nelle scuole elementari, i tassi di ‘condanne’ fra i giovani (età 10-17 anni), la deprivazione socio-economica e appunto la distanza dal ‘quartier generale’ di Babbo Natale, punto di partenza della slitta con le renne. E’ emerso che Santa Claus nel 2015 è passato nella maggior parte dei reparti pediatrici: l’89% in Inghilterra, il 100% in Irlanda del Nord, il 93% in Scozia e il 92% in Galles. Ma le probabilità di una mancata visita sono risultate significativamente più alte per i reparti localizzati nelle aree più svantaggiate, con maggiore deprivazione socio-economica. Al contrario, non vi era alcuna correlazione con assenteismo scolastico, tassi di condanna, o distanza dal Polo Nord. I ricercatori non sono in grado di spiegare il motivo per cui esista questa associazione con il fattore socio-economico, ma dicono che un’ipotesi può essere che Babbo Natale sia in qualche modo costretto a sostenere la disuguaglianza esistente, in quanto a livello ‘contrattuale’ non ha il permesso di cambiare lo status socio-economico di nessuno.
Non sarebbe nelle sue ‘regole d’ingaggio’. Gli esperti, chiamando infine a uno sforzo d’indagine altri gruppi di ricerca, segnalano che sono necessari ulteriori studi per esaminare se Babbo Natale discrimini attivamente o se fattori strutturali più profondi siano in gioco. “Per lungo tempo si è pensato che Santa Claus porti i doni ai bambini buoni, ma non ai cattivi”, affermano gli autori. “Questo, per quanto ne sappiamo, è il primo lavoro a sfatare il mito secondo cui agisce in base ai comportamenti dei piccoli e ipotizza che la deprivazione socio-economica giochi un ruolo più importante nel determinare il suo arrivo. Indubbiamente fattori più profondi sono in gioco, per esempio elementi che impattano sulla capacità di Babbo Natale di raggiungere ogni bambino. Sia che il suo ‘contratto’ debba essere rivisto o che dei ‘Babbi Natali’ locali debbano essere assunti in zone difficili da raggiungere – concludono gli autori – tutto quello che vogliamo è che ogni bambino sia felice questo Natale”.