Tutti devono fare prevenzione, anche i Bronzi di Riace. Le analisi delle patine che ricoprono la loro superficie hanno infatti localizzato dei residui di cloro marino che sembrano minacciare la lega metallica in diversi punti: il rischio è quello di provocare il cosiddetto ‘cancro del bronzo’, un fenomeno corrosivo che potrebbe compromettere la conservazione di queste straordinarie opere d’arte antica. Le prime macchie sospette sono già comparse sul volto, sulle gambe, sull’addome. I risultati degli esami, condotti dall’Università del Salento con l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma, sono presentati al Museo Archeologico di Reggio Calabria nell’ambito dell’iniziativa ‘Arte e scienza’, promossa dall’Associazione Italiana di Archeometria (AIAr).
I Bronzi sono stati osservati attraverso la fluorescenza a raggi X, la quale grazie a strumenti portatili, è stato possibile analizzare la composizione chimica delle patine depositate sulla superficie anteriore delle due statue, eseguendo una vera e propria ‘mappatura dei nei’ che sara’ fondamentale per mettere a punto le future strategie di prevenzione ‘anti-cancro’. Sono tre le patine individuate: quella rossastra, data dall’ossidazione naturale del rame contenuto nella lega metallica, quella nera multistrato, compatta e liscia, fatta di solfuro di rame, e quella azzurrina, formata dai pericolosi residui di cloro. La patina nera ”era probabilmente una pellicola protettiva, volutamente depositata per ricoprire le statue”, spiega Buccolieri. ”La patina è ancora oggi ben visibile sul bronzo A (‘Il giovane’), mentre risulta parzialmente rimossa dal bronzo B (‘Il vecchio’) per effetto del restauro fatto a Firenze negli anni Settanta”. L’invasività dell’intervento sarebbe testimoniata anche dalla presenza di residui di zinco sulle ‘pelle’ del guerriero, ”verosimilmente rilasciati dalle spazzole in ottone usate durante la pulitura meccanica della statua”.