Da 70 anni produce alcuni dei simboli dell’industria alimentare italiana: Nutella, Ferrero Rocher, Kinder, ovvero la storia stesso di Ferrero, che si è intrecciata con quella di tutti noi. L’azienda si trova nella prima periferia di Alba ha il secondo più grande stabilimento dolciario d’Europa. La toponomastica, che conduce al cuore della produzione piemontese, è un’utile guida nella storia di questa famiglia: dalla pasticceria di Pietro Ferrero nei primi anni Quaranta del Novecento alla realtà plasmata dall’ingegno e dalle mani di Michele, oggi guidata dal figlio Giovanni. Quando si aprono le porte dello stabilimento inizia un vero e proprio “viaggio dei sensi”.
Il primo senso ad essere coinvolto è l’udito, con il rumore ininterrotto delle linee di produzione, quel lavorio alacre che non si ferma mai durante il giorno, sei giorni su sette, ma se serve anche sette su sette. La presenza umana è discreta, gli operai fanno soprattutto lavoro di controllo: non una sbavatura di cioccolato, non una crepa nel waffel, non una sola nocciola rotta può finire nel Ferrero Rocher, “perchè tutti i consumatori devono avere la stessa identica qualità” spiegano dalle linee di produzione. L’organizzazione è lo specchio di questa specie di “ossessione” per la qualità: gli operai, molte donne, lavorano su tre turni e al cambio turno. E a questo punto entra in scena l’olfatto: le nocciole tostate e il cioccolato assediano le narici e la salivazione aumenta, soprattutto quando ci si avvicina alla linea del Ferrero Rocher. Per Ferrero, la pralina nata nel 1982, è un fiore all’occhiello, un’opera di ingegneria del gusto. Quel wafer a semisfera croccante e sottile come un’ostia fu un brevetto dell’azienda di Alba. C’è poi la selezione delle nocciole, solo quelle di un calibro compreso tra i 12,5 e i 13,5 millimetri finiscono all’interno della pralina; quelle ridotte a granella, invece, la avvolgono insieme a due veli di cioccolato garantendone la fragranza. Un’ora e mezza di lavorazione per otto diverse fasi lungo una linea di produzione di 200 metri che ne sforna ogni giorno 4 milioni.
Per quanto riguarda il gusto e le papille, essi raggiungono l’apoteosi quando davanti agli occhi si palesa una gigantesca macchina rotante che dosa la Nutella nei vasetti di vetro: precisa e metodica, lascia quel ciuffo di crema alla nocciola su ogni confezione prima che venga sigillato. Siamo su uno dei due piani della produzione della crema spalmabile, una linea che occupa 15 mila metri quadrati e impiega 200 persone. Qui ogni giorno si preparano due milioni di pezzi, dai 15 grammi ai tre chili. Quando provi a chiedere cosa conti più di tutto, chiunque, dal responsabile di produzione all’operaio, risponde la qualità. Del resto “La qualità è la forma più pura di rispetto nei confronti del consumatore“, era il motto di Michele Ferrero.
Ogni anno Ferrero usa un terzo della produzione mondiale di nocciole ed è il più grande produttore al mondo. La selezione è rigida: conta la forma, il calibro, e persino la pelabilità, solo per citare alcuni dei parametri. La filosofia che si segue ancora oggi è quella del “sacco conosciuto”, il sacco di nocciole che si acquistava dal contadino delle Langhe di cui si sapeva tutto e che oggi contiene le storie dei contadini turchi, cileni, serbi. Il sacco conosciuto non è altro che una politica di tracciabilità del prodotto fin dalla sua origine. Nello storytelling della qualità c’è poi il latte, lo zucchero, il cacao, con le 120 mila tonnellate acquistate ogni anno che arrivano dalla Costa d’Avorio, dal Ghana, dalla Nigeria e dall’Ecuador, e che entro il 2020 – questo è l’impegno – sarà tutto certificato sostenibile. E per quanto riguarda l’olio di palma Ferrero ha dichiarato che continuerà ad usarlo, adottando politiche che garantiscono la qualità del prodotto e la sostenibilità ambientale e sociale.