“Risalgono alla prima metà del secolo passato alcune delle maggiori scoperte sulla struttura e la composizione della Terra: dall’identificazione della discontinuità tra crosta e mantello, la Moho, a quella del nucleo e molte altre ancora. A dare particolare impulso a queste nuove conoscenze è l’avvento della sismologia strumentale, sviluppatasi a partire dalla fine del diciannovesimo secolo,” spiega Alessandro Amato, sismologo INGV. “In Italia, l’importante tradizione sismologica della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento, oltre a soffrire dei risvolti negativi della prima guerra mondiale e della crisi post-bellica dovette fare i conti con numerosi terremoti tra i più distruttivi della nostra storia, come quello calabro del 1905, quello di Messina e Reggio Calabria del 1908, quello della Marsica del 1915, e altri che interessarono varie regioni italiane negli anni successivi.
Ma se agli inizi degli anni Cinquanta la situazione poteva definirsi buona, l’insufficienza dei finanziamenti e di personale portò a un’inevitabile crisi negli anni Sessanta, anche in considerazione dei rapidi sviluppi tecnologici e scientifici che si succedevano in quel periodo e che non potevano essere recepiti prontamente nel nostro Paese.
La “latitanza” del Direttore Enrico Medi, in carica dal 1949 al 1974, a causa dei suoi numerosi impegni politici, diplomatici e universitari, unitamente a una carente organizzazione interna dell’ING, portò a una progressiva diminuzione sia del numero dei ricercatori (passati da 25 nel 1954 a 8 all’inizio del 1973), sia della produzione scientifica e del peso dell’Istituto in ambito nazionale e internazionale. Erano anni di grandi scoperte, come per esempio quella della Tettonica a placche, e l’ING non aveva la forza di competere su queste grandi sfide geologiche, che avevano nella geofisica i principali strumenti d’indagine.
Il nuovo regolamento del personale dell’ING, del 1973, che ridefiniva la pianta organica con un discreto aumento degli addetti, portò a un aumento del personale ma non a un immediato miglioramento dell’efficienza e della produttività. Perduravano gravi carenze economiche e normative, anche in seguito al passaggio dell’ING nell’opaco mondo del parastato, che ebbe l’effetto di annichilire il merito favorendo progressioni di carriera basate unicamente sull’anzianità. La breve durata delle dinamiche direzioni di Michele Caputo, dal 1974 al 1976, e di Pietro Dominici, fino al 1979, portarono a notevoli progressi nell’attuazione del nuovo statuto e dell’organizzazione interna, ma fu necessario il commissariamento dell’Ente (per rinuncia prima di Caputo e poi di Dominici per motivi di salute) per portarlo a compimento, sotto la guida del Commissario Luigi Mattei. Nel frattempo, la crisi degli anni precedenti aveva messo l’ING in secondo piano anche sulla scena nazionale, tanto che tra il 1975 e il 1976 l’avvio del “Progetto Finalizzato Geodinamica” del CNR e l’istituzione del Servizio sismico del Ministero dei lavori pubblici erosero ulteriori competenze e risorse all’ING. Ciò nonostante, l’Istituto riuscì a operare bene in alcuni settori importanti, grazie all’impegno e all’esperienza acquisita sul campo dal personale. Continuavano infatti i terremoti, che nella seconda metà degli anni ’70 colpirono duramente il nostro Paese, dal Friuli all’Irpinia. Nacque così nel 1977 la prima Rete Sismica Nazionale “centralizzata”, basata sulle prime trasmissioni via radio e via cavo telefonico, che crebbe negli anni successivi (v. tabella “Fig. 3” da Dominici, 1986) dopo le prime esperienze di centralizzazione in telemetria del 1978.
Gli anni Ottanta, caratterizzati dalla presidenza di Enzo Boschi e dalla direzione generale di Cesidio Lippa, videro un continuo miglioramento dei sistemi di monitoraggio, in particolare di quello sismico. La Rete Sismica Nazionale Centralizzata aumentò la copertura del territorio nazionale e migliorò gli standard strumentali, con il passaggio a sistemi di registrazione digitale nella seconda metà degli anni Ottanta. Parallelamente, veniva avviata la rete sismica a larga banda MedNet, che rappresentava un progetto di assoluta avanguardia internazionale per l’epoca. Purtroppo, un’integrazione tra la rete sismica nazionale a corto periodo (RSNC) e quella mediterranea (MedNet) tardò a venire, sia per ragioni economiche sia di organizzazione interna. Gli anni Novanta videro l’ING compiere importanti passi avanti nello studio dei terremoti italiani, come pure in quello dell’interno della Terra con le tecniche tomografiche applicate ai dati della RSNC e delle reti mobili, che nel frattempo avevano iniziato a produrre dati di alta qualità. Le maggiori conoscenze sui terremoti italiani tra la fine degli anni Ottanta e i Novanta derivano proprio da questi dati (tra gli altri, quelli dei Colli Albani del 1989, di Potenza e Siracusa del 1990, dell’Umbria-Marche del 1997 e così via), proseguendo una tradizione di interventi sul territorio avviata già all’inizio degli anni Settanta dall’ING dopo i terremoti di Tuscania (1971) e Ancona (1972). Negli anni Novanta, mentre proseguivano gli studi e i progetti sui fenomeni sismici e la struttura dell’interno della Terra, i sistemi di monitoraggio iniziarono a segnare il passo. I problemi principali risiedevano nella difficoltà di determinare rapidamente ed efficacemente la magnitudo e nel localizzare accuratamente gli ipocentri dei terremoti in molte aree italiane, a causa della scarsa densità e della tipologia degli strumenti della rete sismica nazionale (quasi esclusivamente sensori a corto periodo a sola componente verticale). Si dovette aspettare la nascita e l’avvio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), al volgere del nuovo millennio, per fare un nuovo importante salto in avanti tecnologico e scientifico. In questo caso furono i contributi del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, e in seguito anche del MIUR tramite il programma ProSIS (PROgramma Sperimentale per la Sismologia e Ingegneria Sismica), a permettere la nascita di una rete moderna in grado di registrare adeguatamente e con continuità ogni tipo di movimento della crosta terrestre: dai microsismi ai grandi terremoti vicini e lontani, fino ai movimenti lenti, grazie all’integrazione di sismometri a larga banda, ricevitori GPS e accelerometri. Si iniziò a intensificare in questo periodo anche l’impegno istituzionale verso la società, con l’apertura di tutti i dati, con importanti progetti di scambio dati a livello internazionale, e più di recente con la creazione di canali comunicativi moderni sulle piattaforme “social” dell’INGV.
Lo sviluppo della ricerca, del monitoraggio e dei servizi associati è proseguito fino a oggi con nuovi strumenti, tecniche di trasmissione e analisi dei dati, migliori prodotti per la valutazione in tempo reale dei parametri dei terremoti e per il loro studio. L’attuale rete sismica nazionale dell’INGV include svariate centinaia di sismometri, accelerometri e ricevitori GPS e permette oggi una stima rapida dell’impatto di ogni terremoto, la caratterizzazione delle faglie attive, la valutazione dei tassi di deformazione geodetica, lo studio della struttura profonda e altro ancora. Gli sviluppi futuri delle reti di monitoraggio sismico saranno focalizzati su sistemi sempre più rapidi e capillari per la determinazione dello scuotimento e degli effetti dei forti terremoti, sui sistemi di Early Warning sismico, sul monitoraggio degli tsunami nel Mediterraneo, oltre naturalmente alla produzione di dati di base per la ricerca scientifica che, come tradizione dell’Istituto, saranno accessibili a tutti. Allo stesso tempo, un impegno sempre maggiore verrà profuso nella comunicazione verso la società dei risultati del monitoraggio e della ricerca sui terremoti.”
Fonti
Per la parte di storia del periodo 1936-1986: Pietro Dominici (1986), L’Istituto Nazionale di Geofisica dalla sua costituzione all’attuale assetto statutario. Intervento in occasione della celebrazione del cinquantenario dell’istituto, Roma, 12 dicembre 1986.