Nel corso degli ultimi mesi in Italia si sono registrati dei terremoti distruttivi che rivelano quanto il Paese si stia “spaccando” geologicamente lungo gli Appennini, la catena montuosa che percorre la Penisola da Nord a Sud e ne rappresenta una sorta di spina dorsale.
Il primo sisma, di magnitudo 6.2 si è verificato il 24 agosto vicino alla località di Amatrice, a circa 120 km a nordest da Roma. Quasi 300 persone sono morte e migliaia sono senza casa. Il centro storico di Amatrice, con edifici risalenti al Medioevo, è andato distrutto. Le repliche sono proseguite per mesi.
Il 26 ottobre, due terremoti magnitudo 5.5 e 6.1 sono avvenuti 30 km più a nord. Le scosse hanno provocato l’interruzione delle linee telefoniche, danneggiato palazzi, spaventato i residenti già stremati dai continui sismi.
Quattro giorni dopo, il 30 ottobre, il terremoto più forte finora, magnitudo Mw 6.5, ha colpito vicino la storica città di Norcia, a 20 km a nord di Amatrice. La Basilica di San Benedetto, risalente al XIV secolo è collassata, lasciando in piedi solo la facciata. Per fortuna, dato che molti residenti erano già stati evacuati a causa delle scosse precedenti, non si sono registrate vittime. In ogni caso, i danni sono stati ingenti.
I terremoti nell’area non sono inusuali: sequenze simili sono comuni nella regione, che ha subìto anche gli effetti di tre grandi eventi nel 1703. A differenza di 3 secoli fa, gli scienziati ora hanno a disposizione degli strumenti per analizzare le vibrazioni e stimare possibili danni futuri. Il loro lavoro è particolarmente importante, vitale, per aiutare il governo locale e nazionale a ricostruire le aree danneggiate e prepararle per terremoti futuri.
La battaglia delle microplacche
Lo scenario geologico complicato dell’Italia è fondato sulla sua attività sismica. Durante gli ultimi 100 milioni di anni, la placca africana si è spostata verso nord e la collisione tra le due placche ha generato le Alpi e un gran numero di microplacche distinte che spingono contro le due placche maggiori. La microplacca adriatica, che contiene il Mare Adriatico, sembra quasi un dito che indica la placca euroasiatica, e confina ad ovest con gli Appennini, a ed est dalle Alpi Dinariche, una catena montuosa che si estende lungo la costa orientale dell’Adriatico.
La placca adriatica ed eurasiatica hanno una storia complessa di interazioni: 15 milioni di anni fa è avvenuta un’espansione del fondo del Mar Tirreno, l’Italia ha quindi rotato in direzione antioraria rispetto all’Eurasia, e si è verificata la subduzione della placca Adriatica in direzione sudovest al di sotto dell’Italia, cosa che ha provocato l’innalzamento degli Appennini. Circa 2 milioni di anni fa, l’espansione è terminata nel Mar Tirreno e la subduzione si è fermata. Di conseguenza, l’Italia ad ovest degli Appennini è divenuta parte dell’Eurasia, e la placca Adriatica ha iniziato a muoversi verso nordovest rispetto all’Eurasia.
Tutte le “spinte” rivelano molto sui terremoti in Italia. Dati GPS rivelano che la placca Adriatica ruota in senso antiorario avendo come polo di rotazione il sudovest delle Alpi. Il movimento causa sismi estensionali sugli Appennini, dove la placca Adriatica si allontana dall’Eurasia, e terremoti compressivi lungo le Alpi sudorientali e le Alpi Dinariche, dove la placca Adriatica collide con l’Eurasia.
I terremoti appenninici si verificano su una rete di piccole faglie (30-40 km di lunghezza) che si sono formate circa 1 milione di anni fa, relativamente recenti per gli standard geologici. Col tempo, il sistema di faglie è divenuto più uniforme, in quanto le piccole faglie si sono unite con quelle più grandi. Dato che la magnitudo dei terremoti dipende dalla lunghezza delle faglie, i sismi più forti sulle faglie appenniniche hanno magnitudo tra 6 e 7. Invece di intensificarsi, le scosse su un segmento di faglia spesso innescano terremoti su una faglia vicina, perché la variazione di stress dopo un sisma fa scivolare la faglia vicina più propensa a slittare.
Si ritiene che il processo di interazione delle faglie per trasferimento dello stress sia il motivo per cui i terremoti appennini si verificano secondo sequenze progressive, proprio come una cascata di tessere del domino. La recente attività può essere vista come una sequenza di propagazione in direzione nord che ha iniziato col sisma magnitudo 6.3 del 2009 che ha distrutto L’Aquila, a circa 50 km da Amatrice.
Gioco d’azzardo
L’attività che ha caratterizzato gli ultimi 7 anni rivela le sfide sismiche che l’Italia deve affrontare. Proteggere la popolazione dai terremoti è una sorta di gioco d’azzardo che si gioca contro la natura in un mondo di incertezze. In gioco il rischio sismico, la mitigazione e la riduzione delle perdite.
In Italia, le attuali mappe di pericolosità sismica sono state sviluppate utilizzando un approccio probabilistico, e l’Appennino è considerata area ad alta pericolosità: eppure, il sisma del 30 ottobre è stato molto più intenso di quanto previsto nelle mappe.
Dato che le mappature sono state sviluppate solo negli ultimi 40 anni, ed i grandi terremoti sono relativamente rari, i sismologi non possono ancora gestire incertezze e accuratezza delle mappe. Sono numerosi i progetti che hanno lo scopo, in Italia e in altri Paesi, di migliorare le mappature di pericolosità sismica, soprattutto da quando i governi utilizzano queste mappe per determinare il grado di resistenza sismica degli edifici.
Sebbene i terremoti più forti si verifichino con relativa rarità, l’Italia ha subìto le conseguenze di eventi più che rilevanti. Oltre ai sismi del 2016 e del 2019, il Paese ha affrontato almeno altri 3 terremoti distruttivi negli ultimi due decenni. Tutta questa attività sismica dimostra la necessità per sismologi e autorità di lavorare fianco a fianco per mitigare il rischio sismico. Il compito dell’esperto è di porre domande e dibattere sulle questioni delicate, e lavorando insieme ci si può avvicinare sempre più verso una maggiore tutela nei confronti degli eventi sismici.
L’articolo, pubblicato su Physics Today, è stato redatto da Seth Stein ed Edward Brooks, sismologi alla Northwestern University di Evanston, Illinois, e da Antonella Peresan, sismologa dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste.