Quattro milioni di depressi, ma solo uno su tre si cura. La depressione è una patologia che colpisce sempre più persone nel mondo, soprattutto le donne, perfino i bambini. Una vera e propria ‘crisi globale’, come è stata definita da Claudio Mencacci, presidente Sip (Società italiana di Psichiatria) nell’intervento che ha svolto al XXXVII Congresso nazionale di Sifo, la Società Italiana di farmacia ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle aziende sanitarie. “Si tratta – spiega Mencacci – di una patologia che ha assunto una dimensione epidemica: 350 milioni nel mondo, oltre 30 milioni nell’Europa a 28 Stati, e oltre 4 milioni nel nostro Paese“. “Va riconosciuto alla Regione Lombardia di essere stata una delle prime Regioni ad aver fatto, oltre 20 anni fa, un’indagine sui suoi cittadini in cura“. Le stime qui parlano di una cifra “tra le 550 e 600 mila persone come prevalenza annuale. Questa condizione trova anche un suo riscontro nella dimensione della città metropolitana di Milano“, dove si registrano “225 mila, 250 mila persone affette“, mentre “per la città di Milano vengono calcolate tra le 77 mila e 84 mila persone“. Certo, sottolinea Mencacci, “le aree urbane possono avere motivi supplementari” per cui si sviluppa questa patologia, “legati non solo agli stimoli luminosi, sonori e alla maggiore facilità di stili di vita meno salubri“. Per esempio, quello dei disturbi del sonno è un tema “sul quale come Società scientifica di psichiatria siamo molto attenti“. Intanto le statistiche generali dicono che un paziente su tre si cura. Questo, spiega Mencacci, “perché pesano ancora i sentimenti di vergogna, di stigma, di isolamento della persona stessa che soffre di depressione, e del contesto non solo dell’individuo, che tende a costruirsi un isolamento sociale, ma anche delle persone, familiari, amici che a loro volta risentono di questo atteggiamento di isolamento. La nostra azione come società scientifica è di avvicinare le persone alle cure, lanciando un messaggio: tutte le depressioni sono curabili, molte sono guaribili“. Ma se si curassero tutti il sistema non sarebbe più sostenibile? E’ assolutamente convinto del contrario Americo Cicchetti, direttore di Altems, l’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari. Proprio secondo uno studio fatto da Altems, “è chiaro che trattare più persone significa mettere in campo più risorse per il sistema sanitario, quindi più operatori, più medici, più farmaci da acquistare sul mercato. Ma la nostra analisi ha mostrato che l’impatto più grosso della depressione sotto il profilo economico non è tanto quello del costo sanitario, quanto sulla società e sui costi per la società. La persona depressa e che non si cura è portata a fare più assenze dal lavoro. In genere si tratta di persone giovani, la depressione non è la malattia dell’anziano“. Quindi si parla uomini e donne, teoricamente, nel pieno della loro produttività. Oltre all’assenza vera e propria dal lavoro, prosegue Cicchetti, “c’è un problema forte del cosiddetto ‘presenteismo’, ovvero la perdita di produttività sul lavoro“. In poche parole, “vai al lavoro, ma la tua produttività è bassa“, perché i pensieri sono altrove. E questo “non è un problema solo per l’impresa, ma per il sistema in generale perché maggiore produttività vuol dire maggiore generazione di ricchezza nel complesso“. Quindi, conclude Cicchetti, “se da un lato curare un maggior numero di persone vuol dire spendere più soldi per i farmaci o per gli ospedali, dall’altro vuol dire creare nuove risorse perché aumenta la produttività sul lavoro. Oltre che il valore intrinseco che ha il tirare fuori una persona dalla depressione“. Nel percorso che deve attraversare il depresso un ruolo fondamentale è affidato a chi gli sta più vicino. “Le famiglie– dice Maria Grazia Cattaneo, presidente del XXXVII Congresso Sifo – non possono che essere attente osservatrici dei casi di depressione che si presentassero al loro interno, e promotrici, in modo tempestivo, dell’intervento medico e specialistico per la migliore diagnosi e presa in carico della persona depressa“.