Si celebra oggi, 27 gennaio, la Giornata della Memoria, ricorrenza riconosciuta dalle Nazioni Unite e celebrata anche in Italia. La legge 211/2000 stabilisce, infatti, che la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte. Ma perché proprio questa data? Poiché il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono i pochi prigionieri di Auschwitz rimasti in vita. Al di là di quel cancello, oltre la scritta «Arbeit macht frei» (Il lavoro rende liberi), apparve l’inferno e il mondo vive, per la prima volta, da vicino, quello che era successo, conoscendo lo sterminio in tutta la sua realtà.
Auschwitz è il nome tedesco di Oswiecin, una cittadina situata nel sud della Polonia in cui, a partire dalla metà del 1940, funzionò il più grande campo di sterminio della sofisticata «macchina» tedesca denominata «soluzione finale del problema ebraico». Auschwitz era una vera e propria metropoli della morte, composta da diversi campi, come Birkenau e Monowitz, ed estesa per chilometri. C’erano camere a gas e forni crematori, ma anche baracche dove i prigionieri lavoravano e soffrivano prima di venire avviati alla morte. Gli ebrei arrivavano in treni merci e, fatti scendere sulla cosiddetta «Judenrampe» (la rampa dei giudei) subivano una immediata selezione, che li portava quasi tutti direttamente alle «docce» (così i nazisti chiamavano le camere a gas). Donne, bimbi, uomini, varcate le soglie di quel campo, venivano privati di scarpe, capelli, catenine, denti d’oro, protesi agli arti. In quest’ultimo caso, gli inabili al lavoro, venivano condotti direttamente nelle stanze della morte, mentre gli internati, privati anche del nome, avevano solo un numero di matricola come identificativo, inciso sulla carne. La privazione della loro identità fu il primo passo in quanto, col passare del giorni, persero anche il corpo, ridotti a fantasmi di ossa barcollanti. I pochi sopravvissuti a quell’orrore si portano dietro una ferita indelebile, faticando a raccontare la loro esperienza e ad essere compresi da chi, fortunatamente, non l’ha vissuta.
Il termine “Shoah” , che in ebraico significa “tempesta devastante”, si riferisce allo sterminio del popolo ebraico durante il Secondo Conflitto Mondiale, preferito a Olocausto in quanto non richiama, come quest’ultimo, l’idea di un sacrificio inevitabile. Si riferisce, comunemente, al periodo dal 30 gennaio 1933, quando Hitler divenne Cancelliere della Germania, all’8 maggio 1945, la fine della guerra in Europa. Il processo di distruzione si basava su tre premesse:1) nessun ebreo doveva sfuggire alla rete; 2) gli articolati rapporti tra ebrei e non ebrei dovevano essere interrotti col minimo danno possibile per i tedeschi;3) bisognava limitare al massimo le ripercussioni psicologiche tra le file dei carnefici, evitare agitazioni tra le vittime e scongiurare proteste tra la popolazione non ebrea. Nel gennaio 1942, alla conferenza del Wansee, Heydrich capo dell’ufficio centrale di sicurezza del Reich (RSHA) e braccio destro di Himmler convocò 15 alti funzionari, comunicando l’ordine di procedere alla Endlösung, alla soluzione finale. Vennero ampliati e riadattati a campi di sterminio i campi di concentramento esistenti. Nella primavera del ’42 entrarono in funzione i primi campi creati esclusivamente per lo sterminio; sei, tutti nel territorio o vicino ai confine del Governatorato Generale (la parte tedesca della Polonia occupata): Belzec, Sobibor, Treblinka, Lublino-Majdanek, Chelmno ed il tristemente famoso Auschwitz, maggiore centro di sterminio, predisposto per “liquidare” fino a 10.000 persone al giorno.
Dopo la Shoah è stato coniato il termine genocidio, che esisteva prima del 1944… un termine molto specifico che indica crimini violenti commessi contro determinati gruppi di individui con l’intento di distruggerli. Il termine venne coniato dall’avvocato Ebreo Polacco, Raphael Lemkin, il quale cercò di descrivere le politiche naziste di sterminio sistematico che prevedevano anche la distruzione degli Ebrei Europei. Egli coniò la parola “genocidio” unendo il prefisso geno-, dal greco razza o tribù, con il suffisso -cidio, dal latino uccidere. Nel proporre questo nuovo termine, Lemkin aveva in mente “l’insieme di azioni progettate e coordinate per la distruzione degli aspetti essenziali della vita di determinati gruppi etnici, allo scopo di annientare i gruppi stessi”. L’anno seguente, il Tribunale Militare Internazionale, che aveva sede nella città tedesca di Norimberga, accusò alcune tra le massime autorità Naziste di “crimini contro l’umanità”. La parola “genocidio” venne inclusa nell’atto d’accusa, ma solo come termine descrittivo, senza autentico valore legale. Il 9 dicembre 1948, sull’onda dell’Olocausto, e anche in gran parte grazie agli instancabili sforzi di Lemkin stesso, le Nazioni Unite approvarono la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio. In tale convenzione, il genocidio viene definito crimine internazionale, che gli stati firmatari “si impegnano a combattere e punire”.
Purtroppo il mondo ha conosciuto tanti genocidi e ancora troppi sono in corso sulla faccia della terra. Riconoscere delle differenze non significa stabilire delle gerarchie nel dolore: come dice un adagio ebraico “Chi uccide una vita, uccide il mondo intero”. Tante le frasi celebri riguardanti questo tragico periodo storico. Dal Diario di Anna Frank: “Ah, quante cose mi vengono in mente di sera quando sono sola, o durante il giorno quando debbo sopportare certa gente che mi disgusta o che interpreta male tutte le mie intenzioni! Perciò finisco sempre col ritornare al mio diario, è il mio punto di partenza e il mio punto di arrivo, perché Kitty è sempre paziente; le prometterò che nonostante tutto continuerò a fare la mia strada e a inghiottire le mie lacrime”. Da brividi è l’epitaffio, posto all’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz: “Grido di disperazione ed ammonimento all’umanità sia per sempre questo luogo dove i nazisti uccisero circa un milione e mezzo di uomini, donne e bambini, principalmente Ebrei, da vari paesi d’Europa. Auschwitz-Birkenau 1940-45’”.