Alberto Angela: “Mio padre Piero è il mio Salgari. Da lui ho imparato l’umiltà e l’etica del lavoro”

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Sei milioni di spettatori con lo speciale su San Pietro su Rai 1, cliccatissimo sul web, una carriera ancor più in ascesa. Alberto Angela, uno dei personaggi televisivi del momento, si racconta a ‘Repubblica’, in una lunga intervista pubblicata sull’edizione odierna. “Da piccolo disegnavo dinosauri e uomini preistorici, come tutti i bambini. Solo che io ho continuato a farlo. Ho trasformato la mia passione in lavoro“. Nato a Parigi nel 1962, cresciuto a Roma, studi scientifici (non voleva fare il giornalista) e una passione per i viaggi maturata in famiglia. “Abbiamo fatto tanti viaggi“, racconta Alberto, “ma le storie più belle erano quelle di papà, le sue avventure: ascoltarlo era un po’ come leggere Salgari“. Ricorda le sue ricerche sul campo, prima della tv. “Sono stato in Congo, in Tanzania“. E ancora: “Ho fatto spedizioni in Oman, Etiopia, Mongolia a cercare scheletri di dinosauri“. E alcune particolari avventura. “La tenda assalita dalle formiche legionarie, circondata dalle iene, dagli ippopotami. Siamo stati vittime di un rapimento. Sa cosa vuol dire attraversare un fiume in zattera con un cannibale?“. Angela spiega: “Ho scoperto che era un cannibale dopo la traversata. Una loro caratteristica è affilarsi i denti a triangolo, tipo quelli dello squalo. Sul momento mi sono sentito a disagio, ma era una persona dolcissima, faceva il pastore“. L’arrivo sul piccolo schermo. “La tv svizzera mi chiese di spiegare gli scavi, il lavoro del ricercatore. Non avrei mai immaginato di fare televisione. Quei servizi funzionavano, sono diventati un programma, Albatros, che fu mandato in onda da Telemontecarlo: ero sbarcato sulla tv italiana“. E l’inizio della collaborazione col padre, prima al Pianeta dei dinosauri, poi a Ulisse (che tornerà su Rai3 a marzo). Alla domanda “non le dispiaceva passare per raccomandato?“, risponde: “Il problema non era mio, ma degli altri: tutto quello che facevo era farina del mio sacco. Ma gli occhi erano puntati su di me, non mi sarebbe stato perdonato niente. Ho sempre saputo che dovevo fare le cose in modo perfetto“. Il cognome è “un’arma a doppio taglio“. La cosa che ha imparato dal padre, sottolinea, “è l’umiltà, l’etica del lavoro“.

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