Archeologia, traffico illegale di reperti in Calabria: l’antica Kroton tra abusi e saccheggi

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Sul promontorio di Capo Colonna, due chilometri a sud della citta’ di Crotone, un tempo svettava l’antico tempio dedicato alla dea Hera Lacinia. Con la fondazione di Crotone da parte di coloni greci nell’VIII secolo a.C., infatti, l’area dell’antico Capo Lacinio, gia’ considerata sacra dalle popolazioni autoctone, venne ulteriormente nobilitata dalla costruzione del famoso tempio dedicato alla divinita’ greca protettrice delle donne e della fertilita’. Fino al XVI secolo il promontorio era chiamato “capo delle Colonne” perche’ erano ancora rimaste al loro posto, malgrado le rovine del tempo, numerose colonne del tempio di Hera Lacinia. Sfortunatamente, pero’, negli anni a seguire, quel luogo venne utilizzato come cava di pietre lavorate per la costruzione del castello aragonese, del porto e dei palazzi nobiliari locali fino a che solo una solitaria colonna rimase in vista dei naviganti, eretta fra i ruderi. Sul promontorio oggi sorge il parco archeologico realizzato dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria e approvato in via definitiva dal Consiglio comunale di Crotone il 21 maggio 1990. Il Parco si estende lungo 30 ettari di terreno adibito a scavi e altri 20 ettari adibiti a bosco e macchia mediterranea. Con un finanziamento di 44 miliardi e 250 milioni delle vecchie lire deliberato dal Cipe, il progetto del parco, sududdiviso in tre lotti, prevedeva la realizzazione di un museo archeologico, aree attrezzate per l’accoglienza di turisti e pellegrini, una nuova chiesa, parcheggi. In realta’ di quei tre lotti ne sono stati realizzati solo due, anche per l’incapacita’ delle amministrazioni locali di procedere all’esproprio degli edifici abusivi realizzati nel tempo, compresa una lottizzazione interamente abusiva della quale da anni e’ stata ordinata la demolizione con sentenza passata in giudicato. Recentemente, con il capo Lacinio, l’intero promontorio e’ stato dichiarato sito di valenza storico archeologica. Sull’area, ritenuta di interesse naturalistico e ambientale, insiste, inoltre, un vincolo paesaggistico.

Un ottantenne di Torretta di Crucoli (Crotone), indagato nell’operazione “Tempio di Hera” condotta stamattina dai carabinieri del Comando tutela patrimonio culturale e del Comando provinciale di Crotone, e’ considerato il principale ricettatore dei reperti archeologici oggetto del traffico che e’ stato stroncato dai militari. L’uomo, anche lui come Pasquale Attaniese, il docente che figura tra gli arrestati, apparente “paladino” della tutela dei beni archeologici ma in realta’, secondo gli investigatori, collezionista senza scrupoli, aveva allestito nella sua abitazione una sorta di “museo privato” in cui erano esposti oltre duemila reperti, di cui era entrato in possesso illecitamente. L’inchiesta che ha portato alle 12 misure cautelari (tre arresti di cui due in carcere ed uno ai domiciliari, quattro divieti di dimora e cinque obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria), coordinata dal Procuratore della Repubblica di Crotone, Giuseppe Capoccia, e’ stata condotta dal pm Luisiana Di Vittorio, che ha chiesto ed ottenuto dal gip, Michele Ciociola, l’emissione dei provvedimenti. L’inchiesta della Procura di Crotoneera partita nell’ottobre del 2014 dopo che erano stati rilevati numerosi scavi clandestini in siti archeologici del crotonese. Le diverse fasi in cui si articolava il traffico illecito, dallo scavo clandestino alla vendita dei reperti ai collezionisti, sono state accertate e documentate grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali, riprese video e pedinamenti. Alle persone coinvolte nell’operazione viene contestato il reato di associazione per delinquere finalizzata all’esecuzione di scavi clandestini, impossessamento illecito di reperti archeologici appartenenti allo Stato, con conseguente danneggiamento delle aree vincolate, e ricettazione dei beni illecitamente rinvenuti. Significativa, hanno riferito ancora gli investigatori, si e’ dimostrata la collaborazione alle indagini della Soprintendenza archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone.

Era un ottantenne di Crotone, secondo la Procura della Repubblica della città calabrese, a tirare le fila dell’organizzazione che procurava con scavi illegali reperti archeologici nel crotonese e li vendeva sul mercato clandestino: si tratta di Pasquale Giuseppe Attianese, molto noto negli ambienti culturali e accademici per aver partecipato, quale relatore, a numerosi consessi e corsi di archeologica, ergendosi a paladino dell’archeologia crotoniate. Competente numismatico, autore di alcuni volumi sulla monetazione ‘Magno-Greca’ calabrese e stimato perito anche in ambienti giudiziari, dalle indagini l’uomo emerge come persona avida e ben introdotta nel mondo della ricerca clandestina di reperti archeologici. Nella mattinata di oggi si è svolto l’atto finale dell’indagine, a conclusione di una complessa e articolata attività d’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica: i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, coadiuvati dai colleghi del Comando Provinciale di Crotone e dall’8° Nucleo Elicotteri di Vibo Valentia, con l’ausilio di unità cinofile, hanno eseguito i provedimenti emessi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Crotone Michele Ciociola. Sono state eseguite 12 misure cautelari, di cui due custodie cautelari in carcere, una agli arresti domiciliari, quattro divieti di dimora nelle province di Crotone e Catanzaro e cinque obblighi di presentazione alla Polizia Giudiziaria. Eseguiti anche 47 decreti di perquisizione locale e personale a carico di altrettanti indagati, con contestuale avviso di garanzia. L’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Crotone e, in particolare, dal Procuratore Giuseppe Capoccia e dal Sostituto Luisiana Di Vittorio, e condotta dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Cosenza, è stata originata nell’ottobre 2014, a seguito dei numerosi scavi clandestini rilevati in siti archeologici del crotonese. Conclusasi nell’ottobre 2015, l’indagine ha consentito di identificare i componenti di un ramificato e ben strutturato sodalizio criminale, in grado di gestire tutte le fasi del traffico illecito di reperti archeologici. Bersaglio prediletto dei ‘tombaroli’ era il sito archeologico di Capo Colonna, uno dei luoghi simbolo della grecità d’occidente; tra i più famosi della Calabria ed uno dei santuari più importanti e meglio conosciuti della Magna Grecia. Le fasi del traffico illecito, dallo scavo clandestino alla vendita dei reperti ai collezionisti, sono state accertate e documentate grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali, riprese video e pedinamenti, arresti in flagranza di reato e sequestri. Particolarmente efficace si è dimostrata la gestione dei reperti archeologici trafugati che, attraverso una fitta e collaudata rete di contatti, senza difficoltà venivano immessi sul mercato clandestino, garantendo lauti guadagni. Nel corso delle operazioni, a riscontro dell’attività investigativa, sono stati numerosi gli arresti in flagranza di reato effettuati nei confronti dei vari gruppi di tombaroli. A capo delle squadre di ‘tombaroli’, secondo la Procura, vi era un ventinovenne di Isola di Capo Rizzuto (Crotone), Vincenzo Godano, soprannominato ‘l’archeologo’, che indirizzava, guidava e coordinava i suoi uomini, addestrandoli all’uso di sofisticati e costosi metal-detector, capaci di rilevare la presenza di preziosi monili anche a elevate profondità. Il principale ricettatore, a livello locale, secondo al Procura, è un ottantenne di Torretta di Crucoli (Crotone), anch’egli apparentemente paladino della tutela dei beni archeologici ma, in sostanza, ‘collezionista’ senza scrupoli. La brama di oggetti storici lo ha portato, negli anni, ad accumulare quasi duemila reperti archeologici, che espone nel suo museo privato. Le indagini hanno fornito elementi tali da far ritenere illegittimo, secondo gli investigatori, il possesso di una così ampia collezione, costituita da beni di notevole interesse storico. Significativa si è dimostrata la collaborazione con cui la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone ha supportato le indagini relativamente agli aspetti tecnici di competenza. Numerosi i reperti archeologici di notevole interesse storico artistico e di rilevante pregio sequestrati durante le indagini.

“Grazie a sofisticate tecniche di indagine e a strumentazioni tecnologiche avanzate il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha condotto a termine con successo un’operazione di contrasto allo scavo clandestino e al traffico illecito di beni archeologici, recuperando migliaia di reperti provenienti dal parco archeologico di Capo Colonna. Un successo che conferma le eccellenti capacità investigative di un reparto che dal 1969 agisce in difesa dei beni artistici, storici, archeologici, archivistici e paesaggistici della nazione”. Così il ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, commenta l’esito dell’operazione dei Carabinieri che ha portato all’arresto di una banda di tombaroli che operavano nel crotonese

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