Arrival: se gli alieni portano un dono

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Una successione veloce di sequenze in cui ci vengono svelati vari momenti della vita di una donna, Louise Bank, e di sua figlia Hannah. Le scene, girate in primissimo piano, raccontano un sentimento tenero e avvolgente che diventa un rapporto di profonda complicità man mano che la bambina si trasforma in giovane adolescente. D’improvviso, come un lampo senza luce, una rara forma di tumore stronca la vita della ragazza, risucchiando ogni entusiasmo dai giorni di Louise e dalla sua attività di insegnante universitaria di linguistica. È l’incipit di ‘Arrival’, del regista canadese Denis Villeneuve, alle prese per la prima volta con il genere fantascientifico.

L’atmosfera del film – spiega Rita Bugliosi sull’Alamanacco della Scienza del CNR – cambia però rapidamente, come la cupa ed estatica colonna sonora che accompagna il film dalla prima inquadratura lascia presagire. Dodici giganteschi oggetti misteriosi, provenienti dallo spazio, subito ribattezzati ‘gusci’ per la loro forma semiellittica, atterrano in 12 punti del nostro Pianeta, provocando allarme e scompiglio tra la popolazione. E mentre l’umanità è sull’orlo di una guerra dalle dimensioni ignote, l’intelligence militare statunitense cerca di evitare che gli eventi precipitino, mettendo insieme un team di esperti in grado di comunicare con gli alieni, per capire quale sia la ragione del loro approdo sulla Terra.

La piccola squadra che il colonnello Weber forma è guidata proprio da Louise, nel cui animo si riaccende la curiosità e l’entusiasmo per il proprio lavoro, e dal fisico Ian Donnelly: spetta a loro il compito di decodificare lo strano linguaggio utilizzato dagli esseri provenienti dallo spazio, chiamati eptapodi per via dei sette arti di cui sono provvisti.

Un’area della navicella aliena atterrata negli Usa è deputata al dialogo, un luogo dove viene meno ogni legge gravitazionale e dove i due ricercatori entrano in contatto con due alieni, da loro ribattezzati Tom e Jerry. Louise prova a utilizzare la lingua parlata, ma ben presto si rende conto che questa strada non è percorribile per l’arbitrarietà del linguaggio stesso e per le incomprensioni che esso genera in mancanza di presupposti condivisi. Allora, d’intesa con l’intuitivo Ian, decide di intraprendere un nuovo percorso, una sorta di moderna ‘Stele di Rosetta’: interpretare la complessa scrittura degli eptapodi, basata su segni circolari composti da modelli simbolici tra loro collegati. Più Louise e Ian comprendono il codice alieno, più i pensieri della donna si complicano di visioni temporalmente lontane, immagini di se stessa con la figlia, come in un sogno. Tutto sembra confermare la teoria di Sapir-Whorf, seguita da Louise, secondo cui lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano è influenzato dalla lingua che parla e, di conseguenza, se si iniziano a comprendere i meccanismi profondi di una lingua si inizia anche a sognare e a pensare in quella lingua.

“Nelle sue forme più radicali, l’ipotesi legata ai nomi di Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf, due linguisti statunitensi della prima metà del Novecento, nega che l’uso delle nostre parole trovi un fondamento nella realtà delle cose, e, in ultima analisi, nell’effetto che la realtà produce sulla nostra percezione”, spiega Vito Pirrelli dell’Istituto di linguistica computazionale del Cnr. “Ad esempio, quando diciamo che un oggetto è ‘verde’ stiamo semplicemente assegnando un’etichetta convenzionale a un segmento arbitrario dello spettro dei colori visibili. A conferma della natura convenzionale della nostra classificazione linguistica della realtà viene spesso citata l’evidenza che due lingue non imparentate tra loro, come ad esempio l’italiano e una lingua amerindiana, possono ‘chiamare’ i colori in modo molto diverso. Per i detrattori dell’ipotesi Sapir-Whorf, il fatto che la lingua Maya abbia una sola parola per riferirsi al verde e al blu non significa che i loro parlanti non siano in grado di ‘percepire’ la differenza tra i due colori. Le categorie della percezione umana sono infatti innate e indipendenti dalla lingua”.

Negli ultimi anni, l’ipotesi Sapir-Whorf è stata rivalutata in vari settori di indagine linguistica, come ricorda Pirrelli: “Innanzitutto, molte parole d’uso quotidiano non si riferiscono a oggetti concreti, ma derivano il loro significato dal modo in cui le colleghiamo ad altre parole, cioè dalla loro rete di relazioni associative. Anche la neurolinguistica ci dice che le parole nel cervello sono localizzate e organizzate secondo legami associativi: se due lingue selezionano insiemi diversi di parole per parlare del tempo, ad esempio, i correlati mentali di queste parole daranno origine a una nozione del tempo diversa. Anche a livello della percezione sensoriale le categorie linguistiche possono influenzare i nostri giudizi: è stato dimostrato sperimentalmente che due stimoli, ad esempio due sfumature diverse di colore, sono percepiti come più simili tra loro se ci riferiamo abitualmente a essi con lo stesso aggettivo”.

Nel film, la situazione si complica quando tra i simboli prodotti dagli extra-terrestri ne compare uno dal significato ‘arma’, tanto che qualsiasi mediazione pacifica tra le 12 astronavi e le nazioni della terra sembra compromessa. L’evolversi degli eventi prospetta però uno sviluppo niente affatto scontato, che implica alcune domande a cavallo tra scienza e filosofia: e se il tempo come noi lo conosciamo fosse solo la semplificazione di una dimensione non lineare che va ben oltre le nozioni di passato, presente e futuro? Una dimensione che per essere svelata e compresa necessita di una nuova forma di linguaggio, ovvero di un nuovo ‘sistema di segni’. E se questo nuovo sistema implicasse la condivisione del sapere e il superamento delle barriere della mutua comprensione?

Probabilmente, sembra dirci la pellicola, ciò che ha spinto gli eptapodi sulla terra è il desiderio di concedere ad almeno uno di noi la visione delle scene di un futuro già vissuto. Una nuova lingua, è questo il ‘dono’ che viene offerto dagli alieni, un’arma sì, ma per rivoluzionare e arricchire la nostra percezione spazio-temporale.

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