Sono numerose le leggende aventi per protagonisti i giorni della Merla e, nonostante le loro varianti, i protagonisti sono sempre i merli, a volte intesi come uccelli, a volte come nomi propri di due sposi. Una di esse racconta di un merlo, una merla e i loro tre figlioletti, candidi come la neve, che vivevano a Milano. Erano giunti in città alla fine dell’estate e avevano sistemato il loro nido su un alto albero nel cortile di un palazzo situato in Porta Nuova ma, per via del rigido inverno, si erano collocati sotto una grondaia, al riparo dal gelo che, quell’anno, si faceva sentire più del solito. Dato che la neve aveva steso un candido tappeto su strade e tetti, il merlo decise di provare a cercare un rifugio più sicuro per la sua famigliola, volando più lontano alla ricerca anche di cibo. Continuando a fioccare, la merca, per proteggere i suoi piccoli, intirizziti dal freddo, spostò il nido su un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po’ di tepore.
Il merlo, tornato, in un primo momento non riconobbe la sua consorte e i figlioletti, diventati tutti neri per il fumo emanato dal camino, riparandosi anche lui nel nido, al calduccio. Il freddo pungente durò tre giorni ed il primo febbraio comparve un tiepido sole, tanto che tutta la famigliola uscì dal nido, scurita per colpa della fuliggine. Da quella volta tutti i merli nacquero neri e gli ultimi giorni di Gennaio sono detti “trii dì de la merla” per ricordare le avventure di quella famigliola. Si narra anche durante un qualsiasi mese di gennaio, quando ancora durava 28 giorni, un merlo sopravvisse al rigido freddo invernale, giungendo indenne alla fine del mese, pensando di aver superato le asperità, tanto da uscire dal nido cantando””Più non ti curo Domine, che uscito son dal verno!”. Gennaio si risentì talmente tanto, permaloso com’era, che si allungò, prendendo in prestito tre giorni a Febbraio e scatenando bufere di neve. Il merlo, allora, si rifugiò in un camino dove restò al riparo per quei tre giorni. Quando ne uscì era nero nero e così rimasero tutti i merli e le merle del mondo. Ai tempi in cui Gennaio aveva 28 giorni ed i merli erano bianchi, una merla, coi suoi piccoli, veniva continuamente strapazzata dal freddo che il mese sadicamente le mandava addosso ogni volta che lei tentava di uscire dal nido per procacciarsi del cibo.
Stanca di questo trattamento, un inverno la merla fece sufficienti provviste per giungere alla fine del mese. Proprio in quell’ultimo giorno, pensando di aver ingannato il gelo, l’uccello uscì dal suo nido a cantar vittoria. Gennaio, permaloso, per vendicarsi, prese in prestito tre giorni a febbraio e sferzò gelo e neve, tanto che la merla ed i suoi piccoli, per salvarsi, dovettero rifugiarsi in un caldo comignolo. Quando ne uscirono erano neri di fuliggine ma, per la gratitudine di essere salvi, rimasero neri per ogni generazione futura. Un’altra versione descrive Merlo e Merla come due giovani allegri che amavano andare a ballare nelle serate invernali. In una di queste, per guadagnare tempo, decisero di attraversare il fiume. Ma la lastra di ghiaccio che ricopriva il Po non resse il loro peso e si ruppe, facendoli pnelle acque gelide dove perirono. Unica testimone della loro morte fu una merla che per tre giorni, gli ultimi di gennaio, cinguettò sui passanti per chiedere aiuto. Al terzo giorno il sole sciolse il ghiaccio ed il fiume restituì i cadaveri dei due ragazzi e sul quel luogo sbocciarono splendidi fiori.
Un’altra leggenda vede Merlo e Merla come due giovani sposi che, sposandosi come di tradizione nel paese della sposa, situato oltre il Po, furono costretti ad attraversare il fiume per ritornare nella loro casa. Trascorsi tre giorni dai parenti, in attesa che le condizioni climatiche migliorassero e visto che non vi era nessun cenno di miglioramento, decisero di attraversare a piedi il fiume che, dato il gran freddo, era ghiacciato. Purtroppo Merlo, nell’attraversarlo, morì, poiché la lastra di ghiaccio non resse il suo peso. Merla pianse così tanto di dolore che il suo lamento si sente ancora oggi lungo le acque del Po nelle notti di fine Gennaio. Ancora oggi, in ricordo di questo triste episodio, le giovani in età da marito si recano sulle rive del fiume nei tre giorni della Merla per ballare e cantare una canzone propiziatoria il cui ritornello dice: «E di sera e di mattina la sua Merla poverina piange il Merlo e piangerà». Si narra anche di una coppia di merli che soffrivano la fame a causa del freddo gennaio. Il maschio, vedendo la sua compagna giunta allo stremo delle forze, decise di uscire dal nido in cerca di cibo. La ricerca nel freddo del mese fu così dura che tornò dopo tre giorni ma la merla, per stare al caldo, si era rifugiata nella canna di un camino. Quando il merlo la incontrò vide solo un uccello nero nero e non la riconobbe: così ripartì per cercarla. Lei morì di fame e di stenti. Un’altra leggenda parla di Merla, una fanciulla bella e semplice ma con la passione della danza che,nelle lunghe notti d’inverno, adorava andare a ballare nelle cascine dove si suonava per passare la lunga stagione invernale.
Una di queste sere per recarsi ad un ballo, Merla attraversò di corsa una lastra di ghiaccio che copriva il Po. Il ghiaccio non resse il peso e la giovane fanciulla cadde nell’acqua scomparendo. I suoi amici la cercarono per tre giorni, gli ultimi di Gennaio, senza mai più trovarla. Uno dei duchi Gonzaga o Napoleone, dato che versioni cambiano, doveva attraversare il Po. Volendo fare un riposino. avvertì il suo servo, alla guida del carro, di avvisarlo quando sarebbero giunti al fiume. Il servo, arrivato sulle sponde del Po, vide che il freddo intenso degli ultimi giorni ne aveva ghiacciato le acque. Pensando di fare cosa gradita al duca incitò la sua cavalla, chiamata la Merla, a passare col carro sulla lastra ghiacciata. Siccome la traversata sul ghiaccio sarebbe stata agevole, non ritenne necessario svegliare il suo padrone. Quando il Gonzaga si svegliò il servo gli disse trionfante che “la Mèrla l’ha passà al Po” (La Merla ha passato il Po). Il duca montò su tutte le furie perché il servo non aveva obbedito ai suoi ordini e arrivato a destinazione lo fece impiccare.