Giorni della Merla: proverbi, detti e filastrocche

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Vari sono i proverbi, i detti e le filastrocche legati ai giorni della Merla: in dialetto bresciano si dice“Du ghèj hò e ‘n prestit (due soldi li ho a prestito), giù él troarò (uno lo troverò). Se bianca te sé (se bianca sei), negra tè farò, e se negra tè sé, bianca deèntarè (bianca diventerai)”. Oppure, in bergamasco, “Canta ‘l merlo ‘n font al zerlo che ghè finit l’inverno: te salude padrù”, ovvero “canta il merlo, l’inverno è finito, ti saluto padrone: trovo un altro tetto”. Un vecchio proverbio romagnolo recita: “Mèral, ‘d merz no’ cante’, che e’ bec u t’ s’ po’ agiaze. Lessa ch’e’ chénta e’ ragion che lo u n’ha pavura d’incion”(Merlo, di marzo non cantare, che il becco ti si potrebbe ghiacciare. Lascia che canti la tordella, che lei non ha paura di nessuno).

Un proverbio bolognese dice: “Quand canta al mérel, a san fóra dl’invéren” (Quando canta il merlo, siamo fuori dell’inverno). Persino Dante Alighieri, nella sua “Divina Commedia”, cita i giorni della merla, facendo dire, nel XIII canto del Purgatorio, all’anima di Sapia “Omai più non ti temo! / come fè ‘l merlo per poca bonaccia”. Ma quando cominciano a cantare i merli? La data è molto incerta e naturalmente dipende dai luoghi; per esempio, in un loro proverbio i romagnoli consigliano al merlo di non cantare nemmeno a marzo perché gli si potrebbe gelare il becco: “Mèral, ‘d mêrz no’ cantê’, che e’ bëc u t’ s’ po’ agiazê”.

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