I quattro forti terremoti che hanno nuovamente scosso il Centro Italia nella giornata di ieri, 18 gennaio 2017, sono stati avvertiti nitidamente a Roma, con un risentimento sismico del IV grado nella scala dell’intensità MCS. Proprio come era successo ad agosto e a fine ottobre in seguito agli altri eventi sismici, i media hanno dato ampio risalto agli effetti sulla città. Non bisogna stupirsi, basti pensare che qui si concentrano più di tre milioni di persone e gran parte delle redazioni e studi televisivi. In realtà, ben peggiore è stato il risentimento nelle città di Rieti, L’Aquila, Teramo.
Detto questo i romani si interrogano nuovamente sulla pericolosità sismica della città e sul rischio sismico (due concetti molto diversi, e sulla cui differenza abbiamo parlato in questo articolo).
Roma sorge in un’area dove avvengono terremoti, ma tutti di magnitudo medio-bassa e con bassa frequenza: per questo non può essere considerata una città con elevata pericolosità sismica. Le aree più sismiche sono quelle poste a sud, perché vicine ai Colli Albani, dove è presente una discreta attività sismica legata al vulcanismo di quest’area. Del resto proprio pochi giorni fa sono state registrate in un giorno diverse scosse sismiche in questa zona, tutte con magnitudo inferiori a 3.0. Nella zona dei Colli Albani i terremoti hanno solitamente magnitudo medio-basse: è molto raro che avvengano terremoti di magnitudo Richter superiore a 4.0, anche se non da escludere.
Roma quindi non è sede di eventi sismici importanti, capaci di creare danni. La città è però esposta ai forti terremoti che avvengono sull’Appennino centrale. Bisogna considerare che alcune aree molto sismiche dell’Appennino sono situate a poche decine di chilometri dalla città. Ad esempio l’area di Avezzano, sconvolta da un terremoto di magnitudo 7.0 nel gennaio del 1915 (a Roma infatti ci furono danni).
Nella sua lunga storia Roma ha sofferto danni in occasione di terremoti importanti avvenuti sull’Appennino centrale. Le aree della capitale più esposte sono quelle situate ad est – perché più vicine all’Appennino – ma soprattutto i quartieri costruiti sui sedimenti alluvionali del fiume Tevere e del fiume Aniene. È risaputo infatti che i sedimenti alluvionali contribuiscono all’amplificazione delle onde sismiche. E buona parte dei quartieri di Roma sorge su sedimenti recenti del Tevere, in grado quindi di amplificare anche di molto le onde sismiche.
Proprio per sottolineare la maggior pericolosità sismica dei quartieri meridionali ed orientali di Roma, nella classificazione sismica nazionale sono state create delle sotto-aree: la capitale è stata fatta ricadere in parte in una sotto-categoria della Zona 3 (Zona 3A), ed in parte in una sotto-categoria della Zona 2 (zona 2B). Inoltre la suddivisione sismica è stata fatta sulla base dei Municipi, vista la grande estensione del territorio comunale. Si può consultare a questo link la propria zona sismica. Tuttavia attenzione alle aree suscettibili di amplificazione: proprio per questo si sta lavorando alla microzonazione sismica del territorio.
Il rischio sismico, a differenza della pericolosità, non prende in considerazione solo la probabilità che un terremoto avvenga, ma anche i danni che ci si attendono da un suo verificarsi. E in questo caso Roma, seppur non esposta come le città appenniniche del Centro Italia quali L’Aquila, Rieti e Terni, si mostra vulnerabile.
Innanzitutto per via del suo antichissimo patrimonio architettonico, spesso composto da edifici che hanno più di duemila anni di storia. In occasione di forti terremoti sull’Appennino, le antiche vestigia di Roma Antica sono state sempre danneggiate, e portano i segni di questi danneggiamenti. Il caso più eclatante è il Colosseo, di cui si conserva solo una parte a causa dei crolli del passato dovuti ad eventi sismici. Ma di esempi di vestigia danneggiate ce ne sono tantissimi, ben conosciuti agli archeologici.
In secondo luogo è emerso negli ultimi anni un problema di vulnerabilità degli edifici costruiti dagli anni ’50 in poi. Una vulnerabilità che si è fatta ancora più palese dopo gli eventi del 2016: dapprima il crollo di un edificio al Flaminio nel gennaio scorso, dovuto a lavori mal eseguiti, poi il crollo parziale di una palazzina a Roma Nord per fughe d’acqua.
Sebbene questi eventi siano stati causati da azioni dell’uomo, hanno risvegliato una certa attenzione verso la stabilità degli edifici costruiti prima degli anni ’70. Si è tornato a parlare del fascicolo di fabbricato e della necessità di una importante opera di controllo sugli edifici, per abbassarne la vulnerabilità: è questo infatti l’unico modo possibile di ridurre il rischio sismico della capitale.
Riassumendo quindi, anche se Roma non si trova in area altamente sismica, e non vive quindi una situazione di pericolosità come L’Aquila, Rieti o Terni, è vulnerabile ai forti terremoti che avvengono sull’Appennino. Quanto più forti e vicini alla capitale essi siano, quanto più vulnerabile si mostra la città. Il dato preoccupante è che l’ultimo evento molto forte avvenuto vicino Roma è il terremoto di Avezzano del 1915: a quel tempo però la città era ancora molto modesta come dimensioni, e non esistevano le sterminate periferie oggi presenti. Il tema della vulnerabilità degli edifici romani sta diventando sempre più di attualità dopo i crolli parziali avvenuti nel 2016.