Se l’Italia è da tempo uno dei principali produttori di biogas in agricoltura, quarta al mondo dopo Germania, Cina e Stati Uniti, con una potenza elettrica installata di oltre 1000 megawatt (equivalenti a 2,4 miliardi di metri cubi di gas naturale), da un punto di vista qualitativo, il modello e disciplinare di produzione promosso dal Consorzio Italiano Biogas, denominato ‘Biogasdoneright’ (Biogas fatto bene), sembra avere pochi eguali al mondo. Tale modello, basato sull’uso prevalente di sottoprodotti e sui doppi raccolti, in modo da non essere in competizione con le produzioni alimentari e foraggere, consente di produrre di più in modo sostenibile, contribuendo al contempo alla crescita delle energie rinnovabili. A rilevarlo è uno studio condotto da Ecofys, società internazionale di consulenza energetica e climatica, in collaborazione con l’Università di Wageningen (Paesi Bassi) e con il Crpa, Centro Ricerche Produzioni Animali di Reggio Emilia, presentato oggi in occasione della terza edizione di Biogas Italy, ”L’alba di una rivoluzione agricola”, appuntamento annuale del Cib, nel corso del quale si sono svolti anche quest’anno a Roma gli Stati generali del settore. ”La produzione di biogas e biometano secondo princìpi del Biogasdoneright ha ricadute positive misurabili non solo con l’aumento delle produzioni alimentari e foraggere ma anche con il miglioramento di livelli di biodiversità, qualità e nutrienti del suolo grazie all’uso del digestato”, spiega lo studio condotto da Ecofys. Il modello italiano si basa sul criterio delle doppie colture: una coltura invernale denominata ‘di copertura’ viene aggiunta a quella convenzionale del periodo estivo, senza necessità di irrigazione o fertilizzazione aggiuntiva, grazie alle condizioni di umidità favorevoli. Ecofys ha dimostrato che l’utilizzo di doppie colture con tecniche agronomiche innovative come la minima lavorazione, la fertirrigazione e il precision farming è un modello che può essere diffuso vantaggiosamente anche in altre regioni. Anche alla luce di tali risultati, cinque docenti di fama internazionale, coordinati da Bruce Dale della Michigan University, già consulente del governo degli Stati Uniti, hanno deciso costituire in occasione di Biogas Italy un team internazionale per valutare la scalabilità del modello italiano nei vari contesti internazionali oltre ad acquisire nuove conoscenze. Del team faranno parte i professori Jorge Hilbert dell’Inta Argentina, Jeremy Woods dell’Imperial College di Londra, Tom Richard della Penn State University (Usa) e Kurt Thelen della Michigan State University (Usa). Il biogas e il biometano prodotti secondo i principi del Biogasdoneright sono oltretutto “carbon negative”, come emerge da un’analisi di ciclo di vita (Lca) condotta dal Cib con il supporto del Crpa su un campione di quattro impianti di digestione anaerobica. Dallo studio emerge che l’elettricità prodotta dagli impianti sotto esame genera emissioni clima alteranti prevalentemente negative, in un range da -335 a 25 g Co2eq per kWh. L’elettricità prodotta oggi nell’Unione Europea ha emissioni pari a 752 g Co2eq per kWh distribuito all’utilizzatore. Il biometano, invece, ha emissioni che stanno in un range da 10 a -36 g di Co2eq per MegaJoule (MJ), mentre quello prodotto da un impianto convenzionale (non da Biogas fatto bene) è di 34g Co2eq per MJ. Il gas naturale in Ue produce 72 g Co2eq per MJ, mentre il combustibile fossile di riferimento in Ue genera 115 g Co2eq per MJ. La filiera italiana del biogas e del biometano in agricoltura è sempre di più un caso di scuola internazionale, come dimostrato dall’interesse di operatori e studiosi stranieri che hanno preso parte alla terza edizione di Biogas Italy. (AdnKronos)