L’addio dell’Ema (Agenzia del farmaco europea) a Londra con la Brexit avrà un costo in salute e vite umane. E questo a causa del ritardo con cui i farmaci innovativi arriveranno ai malati in Gran Bretagna. Ne è convinto Paul Workman, presidente dell’Institute of Cancer Research, che sull”Independent’ stima in due anni il ritardo nell’arrivo dei nuovi farmaci ai malati britannici dopo la Brexit. Questo perché, spiega, le aziende farmaceutiche daranno priorità per l’approvazione dei nuovi medicinali ai mercati più grandi, ponendo così di fatto la Gran Bretagna dopo Ue, Usa e Giappone. I tempi della burocrazia spaventano gli esperti, anche più di quelli della ricerca.
Tanto che l’industria del settore dialoga da tempo con i responsabili Gb: fin dal referendum sull’addio all’Unione europea non sono mancate le preoccupazioni non solo per l’accesso alle nuove terapie, ma anche per il futuro della ricerca britannica, legata a investimenti e cervelli stranieri. Anche Virginia Acha, direttore esecutivo dell’Associazione dell’industria farmaceutica britannica, si è appellata ai negoziatori della Brexit: è importante che l’attuale sistema non sia lasciato fuori dalla politica. Se si farà un buon lavoro, afferma Acha, i pazienti non noteranno differenze dopo la Brexit. Ma il rischio che le cose cambino in peggio esiste. E a preoccupare gli esperti è soprattutto la mancanza di chiarezza. “Il business ha bisogno di chiarezza”, ricorda Sir Michael Rawlins, chair della Medicines and Health Products Regulatory Agency (Mhra) britannica, altrimenti le aziende “faranno piani alternativi”. Insomma, il timore è che alla fine la Brexit metterà il Regno Unito in coda alla fila per i nuovi farmaci.