A distanza di 8 anni dalla morte di Eluana Englaro (era il febbraio del 2009 quando vennero interrotte l’idratazione e nutrizione artificiali che la tenevano in vita, in uno stato vegetativo che durava da 17 anni), per Carlo Alberto Defanti, il neurologo che l’ha avuta in cura per 13 anni, resta una “riflessione amara. Speravamo che la sua storia desse luogo a una discussione pacata e che si arrivasse in breve tempo a una buona legge” sul fine vita. “Non è successo. Al contrario si è scatenata una guerra di religione. E siamo ancora qui, in attesa”. Defanti, primario emerito dell’ospedale Niguarda di Milano, ricorda “i toni incredibili assunti dal dibattito. Il caso Englaro per diversi anni ha bloccato le cose – spiega all’AdnKronos Salute – Ora sono ripartite lentamente, però ancora adesso c’è una frazione piccola, minoritaria, del Paese, persone prevalentemente ma non solo di estrazione cattolica, che fanno della convinzione che ‘la vita è sacra e non si può interferire’ un punto irrinunciabile”.
E ora arriva la notizia della morte di Dj Fabo, in una clinica svizzera. “Diciamo che, in un certo senso, questo caso forse rappresenta più un ostacolo che qualcosa che favorisca” una legge sul fine vita, riflette il medico. Perché “il suo è in realtà un caso di suicidio assistito e non di interruzione o sospensione di trattamenti su richiesta di un malato. E anche se fosse già stata approvata la legge” sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, “Dj Fabo non ne avrebbe potuto usufruire“. Il caso di Eluana è stato diverso. “A seguito di un gravissimo incidente, un trauma encefalico l’aveva portata sul punto di morire. In altri tempi, tutto si sarebbe concluso velocemente. Invece – ricostruisce Defanti – con le procedure di rianimazione Eluana è stata riafferrata per i capelli ed è riuscita a sopravvivere, ma con una qualità di vita infima e senza ripresa di coscienza”.
“Il processo del morire avviato dall’incidente era stato arrestato – chiarisce lo specialista – E su richiesta indiretta della persona, ricostruita a posteriori, è stato poi sospeso il trattamento da cui dipendeva la sua sopravvivenza. Non si è fatto nulla di attivo per interrompere l’esistenza di Eluana, si è lasciato che riprendesse il processo di morte arrestato 17 anni prima. Diverso è il caso di una persona che vive una vita di qualità che reputa insopportabile, che non se le sente di andare avanti e ha bisogno di interrompere attivamente la sua vita”. Defanti è tra i firmatari di un appello che, in vista di una legge sul fine vita, “auspica 3 punti: innanzitutto che prevalga la volontà del malato, poi che qualsiasi misura sia sospendibile – ricordiamo che al tempo di Eluana la nutrizione artificiale divenne oggetto di contesa – e, ultimo punto, qualora la sospensione di una procedura possa provocare sofferenza, è necessario che venga garantito il beneficio della sedazione. Il timore è che tutto questo venga sminuito, in particolare che venga meno un punto fondamentale: se c’è disaccordo, l’ultima parola deve essere quella del paziente. Senza sancire almeno questo principio, tutto perde senso”.