E’ molto probabile che non vi sia sfuggito il recente grande scoop che ha fatto discutere il mondo intero, e non parliamo dell’Oscar assegnato per sbaglio ad un altro film (La La Land al posto di Moonlight, per restare in tema). La scoperta della NASA, senza dubbio importante, conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che le possibilità di trovare forme di vita nell’Universo, sono tutt’altro che remote.
Il problema adesso è: come arriviamo fin sui pianeti “gemelli” della nostra Terra nel sistema denominato Trappist-1?
La risposta deve essere già sui tavoli degli ingegneri dell’ente spaziale perché già sta circolando il manifesto pubblicitario per le visite su Trappist-1e. La didascalia che accompagna il manifesto, sembra tratta da un catalogo per l’organizzazione di viaggi interstellari.
“Trappist-1e offre un panorama mozzafiato: oggetti brillanti in un cielo rosso, grandi quanto la Luna. […] Questi sette modi rocciosi ruotano intorno alla loro piccola stella rossa, come fa una famiglia che si raduna attorno ad un falò”.
Noi però che non abbiamo a che fare quotidianamente con lo spazio e le trasferte da una galassia all’altra, la domanda sul come arrivare alla costellazione dell’Acquario, ce la siamo fatta.
Facciamo prima due conti.
La nana rossa ultrafredda Trappist-1 dista da noi 39,5 anni luce, cioè 373.700 miliardi di chilometri, ovvero 12,11 parsec (la distanza della rotta di Kessel fatta dal Millenium Falcon di Han Solo), pari ad oltre 500 milioni di A/R fra Terra e Luna, oppure 2,5 milioni di viaggi Terra – Sole.
Per avere un termine di paragone, i record di velocità di oggetti umani nello spazio appartengono al modulo abitato Charlie Brown dell’Apollo 10 che nel 1969 sfiorò i 40mila km/h ed alla sonda Juno che ha viaggiato per cinque anni a 265mila km/h, arrivando fino a Giove.
In ogni caso abbiamo a che fare con viaggi che potrebbero durare centinaia di migliaia di anni, sempre che tutto vada per il verso giusto (ricordate cosa è successo nel recente film Passengers, con Jennifer Lawrence e Chris Pratt?).
Escludendo di avere parcheggiata in garage la nave di Han Solo e non essendo ancora disponibili i motori a curvature dell’Enterprise del Capitano James T. Kirk, ci restano alcune possibilità.
Tunnel spaziali
La prima è costruire una navicella che sfrutti il principio WIPS (Wormhole Induction Propelled Spacecraft) e viaggiare alla velocità superluminale cioè superiore a quella della luce.
L’ipotesi cozza fortemente con le convinzioni della comunità scientifica, in quanto viola le limitazioni imposte da Einstein all’interno della sua teoria della relatività ristretta, dove si dice che, nel vuoto, le informazioni e la materia non possono viaggiare a velocità superiori a quella della luce.
Ci sono però in alcune possibilità, lasciate aperte dalla teoria della relatività generale, sotto forma di anomalie spazio – temporali: i wormhole.
Questi tunnel, noti anche come “Ponti di Einstein – Rosen” consentirebbero viaggi a velocità superluminali, senza contraddire le teoria del fisico tedesco, se la materia, di fatto non attraversasse effettivamente fisicamente l’universo, grazie a queste gallerie dello spazio.
Il wormhole è stato reso famoso dal film Interstellar (Matthew McConaughey e Anne Hataway), ma è stato oggetto di uno studio internazionale, a cui ha dato un importante contributo la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste.
“Se combiniamo la mappa della materia oscura della Via Lattea con il più recente modello dell’origine dell’Universo, si arriva a concepire che la nostra galassia potrebbe contenere uno di questi tunnel”, dichiara Paolo Salucci astrofisico della SISSA e co-autore dello studio, “e potrebbe avere le dimensioni della galassia stessa”.
Il motore impossibile
Qualcosa di più reale è stato ideato dall’ingegnere inglese Roger Shawyers e si trova nel laboratori Eagleworks della NASA.
Si chiama EmDrive che sta per Electromagnetic Drive e la notizia della sua esistenza è stata resa pubblica sul finire dello scorso anno con la pubblicazione di un documento da sottoporre ad indagine pubblica, sul Journal of Propulsion and Power, rivista ufficiale dell’Istituto Americano di Aeronautica ed Astronautica (AIAA).
EMDrive sarebbe in grado di generare un’accelerazione nel vuoto senza alcun consumo di carburante e riuscirebbe a far arrivare un’astronave su Marte in appena 70 giorni, contro i nove mesi attuali (tempo impiegato dalla sonda europea ExoMars).
Le specifiche del progetto, parlano dell’EmDrive, come di un dispositivo che può convertire direttamente energia elettrica in accelerazione, senza utilizzare l’espulsione di materia in direzione opposta al moto.
Questo però, non sembra trovare tutti concordi in quanto alla soluzione propulsiva è rimproverata una violazione della terza legge di Newton: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Per questo motivo, lo hanno soprannominato il “motore impossibile”. E’ il principio con il quale funzionano i motori a reazione ed i razzi spaziali.
“Ci sono diverse istituzioni scientifiche in tutto il mondo che stanno supportando il mio lavoro.” – ha dichiarato Shawyer in un’intervista ad Ibmtimes – “In Cina ne hanno dimostrato l’efficacia ed io sto lavorando alla seconda generazione del propulsore che sarà in grado di moltiplicare di cinque ordini di grandezza le sue prestazioni”.
I dati che sono contenuti nella pubblicazione, dichiarano che il motore riesce a sviluppare una spinta di 1,2 mN (millinewton) per ogni chilowatt assorbito.
Attualmente, una vela solare può generare 6 micronewton per chilowatt ed un propulsore ad effetto Hall, dove il propellente ionizzato è accelerato da un campo elettrico, arriva a 60 mN/kW.
Ma come funziona EmDrive?
La sua struttura è costituita da un contenitore metallico di forma conica, nel quale sono fatti rimbalzare dei fotoni, ovvero onde elettromagnetiche immaginate come se fossero formate da particelle elementari.
I fotoni rimbalzando contro la parte anteriore del motore, generano un’accelerazione in avanti.
Le perplessità sono molte e tutte molto qualificate, come quelle di Guido Martinelli fisico teorico dell’università La Sapienza di Roma.
“Troppi dettagli impossibili da verificare e conclusioni che si rifanno a teorie discreditate e che non forniscono nessuna spiegazione scientifica del fenomeno”, ha dichiarato lo scienziato a wired.it.
Dello stesso avviso il collega Giorgio Parisi secondo cui, alla base del lavoro ci sarebbero degli errori di misura ed effetti noti, trascurati.
Navigare a vela
Su questo sistema si basa il progetto Breakthrough Starshot, che fa parte del programma scientifico Breakthrough Initiatives, che cerca segnali nello spazio inviati da civiltà extraterrestri.
Presentato nel luglio 2015 dal celebre fisico inglese Stephen Hawking e dal magnate e filantropo russo Yuri Milner, punta a raggiungere la stella Alpha Centauri a 4,365 anni luce in 20 anni, viaggiando al 20% della velocità della luce.
Alle sonde gemelle Voyager, sono occorsi più di 40 anni per superare i confini del Sistema Solare, distanti “solo” 20 miliardi di km pari a 0,002 anni luce.
Le nano sonde, grandi meno di uno smartphone e del costo inferire a 1.000 Euro, sarebbero spinte da una vela solare spessa poche centinaia di atomi e pesante meno di 2 grammi.
Grazie ad un investimento di 100 milioni di dollari, la fase di sviluppo ingegneristico del progetto è già partita e si dovrebbe concludere fra alcuni anni.
A questo punto è meglio mettersi l’anima in pace e scegliere delle mete delle vacanze meno esotiche e più a portata di mano, lasciando Trappist-1 ed i suoi pianeti abitabili, ai sogni delle generazioni future.
Di parenti più o meno stretti ne scopriremo ancora e vedremo se saremo in grado di raccogliere la nostra eredità o, magari, saranno in grado di accoglierla.