Made in Italy: dall'”economia delle emozioni” 10 miliardi l’anno di fatturato

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Si può definire ‘economia delle emozioni‘. Ruota attorno a brand, stili di vita, al saper fare tutto italiano che ‘ti resta dentro’ quando visiti il nostro paese. E che ha un potenziale economico ancora tutto da sfruttare, una vera e propria occasione di business per le imprese italiane del settore. Tanto che c’è chi stima che, nel prossimo futuro, un”educazione alle emozioni’ potrebbe valere circa 10 miliardi l’anno di fatturato del made in Italy. La qualità delle emozioni, dunque, come arma in più per contrastare la crisi. A tracciare questo accattivante scenario è una ricerca commissionata da Ornellaia (il fine wine italiano tra i più amati al mondo) al Censis, che si interroga proprio su qual è l’anima del ‘fare italiano’, quale la sua essenza, quali sono gli elementi che lo contraddistinguono e soprattutto in che modo devono essere dosati perché ne esca un perfetto made in Italy. Lo studio prova a dare una risposta a queste domande, intervistando al riguardo i più importanti protagonisti del made in Italy, dall’industria automobilistica alla moda, dall’offerta turistica alla ristorazione e alla filiera enogastronomica, analizzando gli strumenti con cui si veicolano ‘stile di vita’, esperienze e prodotti e trovando poi per ogni veicolo le sue componenti e il ‘dosaggio’. Sempre tenendo conto delle risposte dei testimoni privilegiati del made in Italy intervistati, emerge una mappa delle emozioni anche sul piano geografico: i nordamericani sono quelli che si emozionano di più pensando e vivendo l’Italia, seguiti dai tedeschi, i quali forse per la musica e l’arte, forse per via del romanticismo tedesco o forse semplicemente per il sole, guardano sempre con affetto al nostro Paese. Al terzo posto ci sono i giapponesi, i quali mostrano maggiori affinità con il nostro Paese di quel che si potrebbe immaginare di primo acchito. Un po’ sorprendentemente al 4° posto troviamo gli slavi occidentali, vale a dire polacchi, cechi e slovacchi e infine i francesi, i quali forse amano più l’Italia di quel che immaginiamo. D’altronde, secondo la classifica mondiale della reputazione stilata dal ‘Country RepTrak’ (che ci pone al 12° posto nel mondo), l’Italia è il Paese con la maggior differenza tra l’opinione esterna e quella interna: in una scala da 1 a 10 la nostra reputazione esterna è 7,1 mentre internamente ci diamo un voto pari a 5,7; agli antipodi c’è la Russia che ha un’immagine di sé pari a 8 e un giudizio dall’esterno pari a 4. Il fattore principale che si evince è che il made in Italy ha tutte le caratteristiche per diventare una vera e propria palestra per le emozioni: la nostra creatività può insegnare ad emozionarsi, con autenticità, profondità e nella direzione di una crescita personale, non solo di un’emozione effimera. Tre sono i punti cardine che emergono dalla ricerca del Censis. Innanzitutto, il nostro ‘stile di vita’, perché molti stranieri hanno elevato a modello quel modo di vivere squisitamente caratteristico degli italiani. Poi, troviamo le ‘emozioni’ tipicamente italiane, che ogni visitatore del Bel Paese pregusta ancora prima di essere giunto in Italia. Infine, il terzo imprescindibile aspetto è il ‘prodotto italiano vero e proprio’, ovvero la fisicità concreta di un’idea, di un sogno, di un saper fare tutto made in Italy. Per quanto concerne lo stile di vita italiano, il concetto con la maggior rilevanza secondo gli intervistati è la ricercatezza (42%); essa si esprime nella volontà di distinguersi sempre dalla massa, con attenzione ai particolari e all’originalità. Al secondo posto, con il 38% si trova invece la capacità di saper riconoscere la bellezza, all’occorrenza essendo capaci di crearla. A sorpresa, è solamente in terza posizione la gioia (12%), seguita dalla lentezza (9%), ovvero il rifiuto della vita frenetica in nome di un ritmo di vita più lento e naturale. Se si parla poi delle emozioni di vivere un’esperienza, essa deve essere innanzitutto di tipo sensoriale, collegata a gusto, tatto, olfatto e udito: l’emozione ideale infatti è fatta al 45% di sensazioni fisiche. Un altro tratto fondamentale (per il 25%) è quello formativo, di carattere culturale. Il 21% è invece dedito alla partecipazione, alla voglia di comunicare con gli italiani per sentirsi parte del luogo. Poco spazio, infine, alla rappresentazione di sé (9%), parrebbe sintomo del fatto che il turista straniero non sente il bisogno di raccontarsi. Venendo infine al prodotto italiano e alle caratteristiche che esso deve possedere, secondo gli stranieri quella fondamentale è la qualità (30%), intesa come il lavoro ben fatto. La bellezza ha quasi lo stesso peso (29%), sebbene l’aspetto estetico abbia perso peso negli ultimi anni, a vantaggio della qualità. L’autenticità del prodotto conta per il 22%; mentre pesa forse meno del previsto la forza evocativa (18%). Fondazione Altagamma – riporta lo studio – stima che nei prossimi 5-6 anni, il numero di persone interessate all’acquisto di bene/servizi di alta qualità, passerà da 400 a 480 milioni, cui corrisponderà una spesa aggiuntiva di circa 290 miliardi di euro, che porteranno il mercato globale del lusso a più di 1.300 miliardi l’anno. Attualmente, il made in Italy intercetta circa il 10% di questo mercato. Più in dettaglio, Censis indica che per i nuovi consumatori di qualità l’aspetto emozionale varrà circa il 15% in più rispetto ai vecchi consumatori, vale a dire che un lavoro accurato sulle emozioni potrebbe incrementare la nostra fetta di mercato di circa 90 milioni di potenziali nuovi clienti e di 4-5 miliardi l’anno, come, al contrario, una scarsa attenzione a questo aspetto potrebbe ridurla della stessa cifra. Tra 5-6 anni, quindi, l’ampliamento del mercato mondiale di qualità dovrebbe fruttare all’Italia circa 29 miliardi l’anno, stando all’attuale andamento. Puntando fortemente sul lato ‘emozionale’, tale cifra potrebbe arrivare anche a 33-34 miliardi l’anno; ritenere, al contrario, che i nuovi consumatori siano già ‘formati’, potrebbe invece far scendere la quota a 25 miliardi l’anno di incremento. La qualità delle emozioni, dunque, è un’arma in più per contrastare la crisi. Inoltre, aspetto non del tutto trascurabile, l’economia delle emozioni può essere anche un vero e proprio ‘turbo’ per incrementare il fatturato di tutte quelle aziende che esportano il made in Italy nel mondo. Dalla ricerca Censis emerge appunto che, se ben governata, l”incidenza delle emozioni’ può arrivare addirittura ad oltre il +15%, mettendo le ali al normale fatturato aziendale. Dato che i consumi mondiali 2015 dei prodotti e servizi di lusso è stimato da Fondazione Altagamma superiore ai 1.000 miliardi di euro, l’economia delle emozioni potrebbe spingerli addirittura ad oltre 1.150 miliardi di euro. Inoltre, a fronte di un export pari a 132 miliardi di euro, un investimento sulle emozioni potrebbe farlo crescere sino a oltre 150 miliardi di euro (stime su dati Censis e Istat). Alla luce di ciò, il Censis formalizza alcuni consigli per valorizzare al meglio l’economia delle emozioni. Su tutti, potrebbe essere utile formare gli italiani all’educazione dell”economia delle emozioni’, ed educare gli stranieri (a partire dagli amanti del made In Italy) alle emozioni, per costruire sin d’ora un legame forte con i consumatori di domani, ma anche per dare una chance in più ai giovani che subiscono una disoccupazione tragica.

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