Nascono con una bomba a orologeria dentro al cuore, pronta a esplodere quando meno te lo aspetti, magari davanti alle telecamere accese su campo di calcio. Sono i ‘bimbi Brugada’, affetti da una malattia genetica ereditaria che li condanna a non invecchiare. Da un momento all’altro le loro vite possono essere stroncate dalla morte improvvisa, generica ‘etichetta’ sotto cui vengono archiviati almeno 50 mila decessi all’anno solo nel nostro Paese. Per disinnescare l’ordigno oggi è disponibile una tecnica nata in Italia, che ha già curato circa 170 persone. Cuori strappati a un drammatico destino. Clinicamente guariti, anche se il Dna di chi li porta nel petto resta malato. L’inventore della metodica rivoluzionaria che ‘spegne’ la sindrome di Brugada, causa del 15-20% delle morti improvvise nei giovani under 40, si chiama Carlo Pappone e dal 1 marzo 2015 dirige l’Unità operativa di Elettrofisiologia e Aritmologia dell’Irccs Policlinico San Donato, nell’hinterland milanese. Un ‘elettricista del cuore’ noto a livello internazionale, che con la sua équipe è riuscito a offrire una speranza inedita a pazienti per i quali l’unica possibilità era il defibrillatore impiantabile. Scariche salvavita che quando il cuore si ferma lo fanno ripartire, ma che non possono agire sui meccanismi che stoppano il battito. Ed ecco la nuova via, descritta nel 2015 su ‘Circulation EP’ da Pappone e da Josep Brugada, che nel 1992 insieme al fratello Pedro definì e prestò il cognome all’omonima sindrome: una tecnica di ablazione ‘intelligente’, mirata al bersaglio, che con una corrente elettrica a radiofrequenza brucia selettivamente le cellule cardiache responsabili della patologia, dopo averle individuate con un mappaggio elettromagnetico del ventricolo destro. “Dal 2014 i pazienti trattati sono oltre 170, tutti con successo, di cui 135 saranno oggetto di una futura pubblicazione“, spiega Pappone all’AdnKronos Salute in occasione del primo ‘World Summit on Brugada Syndrome Ablation’, in corso presso l’Ospedale del cuore alle porte di Milano. San Donato che fa scuola nel mondo. “In tutti i pazienti che con Gabriele Vicedomini e Josep Brugada abbiamo sottoposto a procedura di ablazione – riferisce Pappone – dopo l’intervento non sono più riscontrabili né segni né sintomi tali da poter porre una diagnosi di sindrome di Brugada“. Cuori guariti? “Va chiarito il concetto di guarigione“, tiene a dire lo specialista: “Dalla malattia genetica al momento non si guarisce – puntualizza – L’obiettivo è eliminare le conseguenze cliniche della patologia e noi siamo riusciti a neutralizzarle“. Precisa Pappone: “Oggi per una diagnosi di Brugada servono un elettrocardiogramma anomalo con la ‘curva’ tipica della sindrome, e sintomi che vanno da lievi palpitazioni a sincopi, fino all’arresto cardiaco. Ebbene, con l’ablazione l’Ecg diventa normale e i sintomi scompaiono. Le aritmie ventricolari maligne non sono più presenti spontaneamente, né sono provocabili con uno studio elettrofisiologico“. Il difetto genetico rimane, però non si esprime più. La Brugada è ‘spenta’. Ma qual è l’identikit di questi cuori salvati? L’esperto si focalizza sui pazienti che rientrano nello studio in corso di pubblicazione, tutti operati al San Donato: “Prevalentemente giovani maschi, di età compresa tra 18 e 50 anni; portatori di defibrillatore impiantabile; italiani e stranieri“. L’intervento si esegue in anestesia generale e il ricovero dura 3-4 giorni. “Riscontriamo risultati straordinari, con una totale scomparsa dei segni e dei sintomi della malattia“, ribadisce Pappone. Il follow-up arriva a 2 anni, un periodo dopo il quale “non abbiamo motivo di pensare che la malattia si possa ripresentare“. “Grazie all’intuizione di Carlo Pappone, Josep Brugada e Gabriele Vicedomini – evidenziano dall’Irccs capofila della galassia Rotelli – si può offrire finalmente una soluzione che agisce sui meccanismi della malattia. I dati suggeriscono che l’ablazione della sindrome di Brugada può essere utile in molti pazienti sintomatici ad alto rischio che sono candidati all’impianto di un defibrillatore, colmando una zona grigia delle Linee guida“. Aggiunge Pappone: “Per la prima volta, insieme a Josep e a Gabriele, illustriamo ai colleghi riuniti per il summit come eseguire la procedura di ablazione, con che tecnica e con quali strumenti, e portiamo all’attenzione di tutti la verifica di risultati della nostra metodica. E’ un momento importantissimo di condivisione assolutamente libera: siamo orgogliosi che questa tecnica possa arrivare, tramite altri cardiologi, a moltissimi altri pazienti in tutto il mondo“. La 3 giorni di San Donato (16-18 febbraio) ha richiamato “circa 600 ospiti, più di 2 terzi dei quali dall’estero, in pratica da tutti i continenti – prosegue l’aritmologo – L’obiettivo è dare una dignità scientifica a questa nuova metodica, condividerne il successo con i maggiori esperti al mondo, mostrare tutto ciò che un laboratorio di elettrofisiologia e un ospedale attivo nel settore dovrebbe avere. Questa procedura richiede infatti esperienza, organizzazione e tecnologie. Oltre a noi la esegue per ora soltanto un centro in California, con circa 30 procedure effettuate dopo la nostra pubblicazione“. In occasione del congresso mondiale le sale di elettrofisiologia del San Donato sono ‘roventi’. “Eseguiamo in diretta 4 procedure al giorno“, una dozzina in tutto, continua Pappone. E per queste dimostrazioni di chirurgia live “abbiamo scelto i pazienti ‘peggiori’ raccolti in 2 anni, quelli con malattia più avanzata, risuscitati da almeno un episodio di morte improvvisa. Per confermare la guarigione clinica post-intervento ottenuta con l’ablazione, sia a questi sia ad altrettanti operati fra 18 e 24 mesi or sono – conclude lo specialista – facciamo in diretta anche il test dell’ajmalina. Consiste nell’infusione di un farmaco che smaschera la Brugada anche se l’elettrocardiogramma appare normale“. Una specie di prova del 9: “I ‘San Tommaso’ che non ci credono, crederanno“. (AdnKronos)