Applicare alle cellule germinali le tecniche di editing del genoma – ovvero l’aggiunta, rimozione o sostituzione di sequenze di Dna in gameti o embrioni in stadio precoce di sviluppo – potrebbe “essere consentito in futuro, ma soltanto in condizioni strettamente controllate e per il trattamento di malattie gravi”. Questa, in sintesi, la raccomandazione che emerge dal rapporto ‘Human genome editing: Science, Ethics and Governance’, reso disponibile dalla National Academy of Sciences (Nas) e dalla National Academy of Medicine (Nam) statunitensi. Il documento illustra le “condizioni rigorose che andrebbero verificate prima di consentire l’avvio di studi clinici basati su queste tecniche applicate alla linea germinale”, spiega una nota. Attualmente il gene editing è già utilizzato in alcune sperimentazioni cliniche in corso, ma soltanto su cellule somatiche (non germinali) e per il trattamento di malattie gravi. Per valutare gli aspetti di natura scientifica, etica e di governance legati al gene editing è stato chiamato un comitato di studio di esperti internazionali. Al lavoro, durato più di un anno, ha preso parte anche un italiano, il direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget) di Milano, Luigi Naldini. Per lo scienziato il progetto è stato “una coinvolgente occasione di confronto, che ha permesso di mettere in comune conoscenze, esperienze, culture, religioni e nazionalità diverse per affrontare le sfide aperte dalle nuove tecnologie: lo sforzo è stato quello di cogliere le nuove opportunità terapeutiche bilanciando le ragioni scientifiche con l’attenzione a considerazioni di natura etica e di responsabilità sociale”.
Ricerca: sull’editing genetico le prime linee guida internazionali
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