Scoperta esopianeti, ecco i magnifici 7 mondi di TRAPPIST-1: 3 sono abitabili, è caccia alla vita extraterrestre

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Sette pianeti con dimensioni simili alla Terra tutti in orbita attorno allo stesso sole, tre dei quali si muovono all’interno della cosiddetta zona abitabile e quindi teoricamente in grado di ospitare oceani d’acqua in superficie. La scoperta pubblicata sulla rivista Nature, segna un ulteriore passo avanti sul fronte della caccia agli esopianeti potenzialmente abitabili. Perché sebbene tre pianeti in fascia abitabile fossero già stati rilevati orbitare la stella Gliese 667c, anche essa con ipotizzati sette pianeti circumstellari, la caratteristica delle dimensioni dei pianeti annunciati su Nature rappresenta un elemento di interesse.

La stella oggetto dello studio è un corpo celeste già noto agli astronomi: si tratta di TRAPPIST-1, una nana rossa ultrafredda situata a una distanza relativamente vicina a noi, in termini astronomici. Da lei ci separano ‘appena’ 40 anni luce. Ad oggi, nel sistema di TRAPPIST-1 erano stati individuati tre pianeti.

Grazie alle osservazioni combinate effettuate da telescopi a terra, quali TRAPPIST-South, all’Osservatorio di La Silla e il Very Large Telescope al Paranal entrambi dell’ESO, e dallo spazio con Spitzer della NASA, gli astronomi hanno potuto confermare la presenza di almeno sette piccoli mondi in orbita attorno alla nana rossa, oggetti dalle dimensioni paragonabili a quelle della Terra o di Venere.

Confronto tra le dimensioni dei pianeti del sistema TRAPPIST-1, allineati in ordine di distanza dalla stella madre. Le superfici dei pianeti sono riportate con rappresentazioni artistiche delle loro potenziali caratteristiche superficiali, tra cui acqua, ghiaccio e atmosfera. Credit: NASA/R. Hurt/T. Pyle

Per scovarli – spiega l’Agenzia Spaziale Italiana –  gli scienziati si sono serviti del metodo del transito: misurando i piccoli cali di luminosità della stella madre al passaggio dei pianeti in orbita attorno ad essa, è stato possibile dedurre il numero dei corpi celesti appartenenti al sistema e ricavare informazioni, per ciascuno, su dimensioni, composizione e orbita.

Secondo il team di astronomi, tutti e sette i mondi potrebbero avere acqua liquida in superficie, anche se le distanze orbitali rendono alcuni candidati più promettenti di altri. Modelli climatici suggeriscono che i pianeti più interni, TRAPPIST-1b, c e d, siano probabilmente troppo caldi per ospitare acqua liquida, tranne forse su una piccola frazione della superficie.

La distanza orbitale del più esterno, TRAPPIST-1h, non è confermata, ma il corpo celeste è probabilmente troppo distante e freddo per l’acqua liquida, sempre che non vi siano in corso altri processi di riscaldamento. TRAPPIST-1e, f e g rappresenterebbero quindi il “Sacro Graal” degli astronomi alla ricerca di esopianeti abitabili, poiché orbitano nella cosiddetta Goldilocks zone e potrebbero quindi ospitare acqua liquida in superficie.

I pianeti presentano orbite molto strette, posti nel nostro sistema solare li vederemmo ruotare all’interno di Mercurio. Tuttavia, le dimensioni ridotte di TRAPPIST-1 – la stella presenta una massa pari all’8% del nostro Sole – e la sua bassa temperatura, implicano che l’energia che irradia i pianeti sia simile a quella ricevuta dai corpi interni del nostro Sistema Solare. TRAPPIST-1c, d e f ricevono quantità di energia simili, rispettivamente a Venere, Terra e Marte.

TRAPPIST-1, situata nella costellazione dell’Acquario, è una nana rossa molto piccola in termini stellari – solo marginalmente più grande del pianeta Giove – e anche se vicina a noi appare molto debole. Gli astronomi si aspettavano che stelle come questa – nane rosse estremamente fredde – potessero ospitare pianeti di dimensione terrestre in orbite molto strette, rendendole obiettivi promettenti per la caccia alla vita extraterrestre, e TRAPPIST è il primo di questi sistemi a essere stato scoperto.
Il sistema TRAPPIST-1, sotto la lente anche di Hubble che ne sta studiando le atmosfere planetarie, sarà oggetto di osservazione anche degli osservatori di nuova generazione quali l’Extremely Large Telescope dell’ESO e il telescopio spaziale James Webb di NASA/ESA/CSA, grazie ai quali, secondo Emmanuël Jehin, membro della collaborazione, “saremo presto in grado di cercare acqua su questi mondi e, forse, anche eventuali evidenze di vita”.

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