Il mondo del caffe’ sta cambiando: i tempi di preparazione e degustazione non sono piu’ “espresso” ma lenti e meditativi, e la “cremina” non e’ piu’ un parametro indicativo di una buona tazzina al bar. Lo diventano, un po’ come accade per il vino, le buone pratiche agricole, la qualita’ dei terreni coltivati, la raccolta e la selezione manuale dei chicchi che ora vengono macinati in diretta al bancone della caffetteria. Sono questi gli ingredienti top dello “specialty coffee”, ultima tendenza approdata in Italia e nata nei locali monoprodotto a tutta caffeina nel Regno Unito e Germania. In questi locali, una decina circa in Italia, si celebrano l’artigianalita’ della produzione e la capacita’ di narrazione del barman, che non ha piu’ una macchina a leva ma ad estrazione.
“La bonta’ non e’ piu’ un colpo di fortuna ma una scienza che e’ l’arte dell’estrarre – sottolinea Dario Fociani de ‘Il Faro’ a Roma – che permette di sentire piu’ il frutto e meno la tostatura che comunque e’ piu’ delicata. Per questo consigliamo di non aggiungere zucchero. Qui non facciamo ne’ ristretti ne’ lunghi; vogliamo creare un caffe’ diverso per restituire l’anima a questa bevanda. Il caffe’ e’ una pianta e come tale va pensata. Va quindi seguita la stagionalita’ e la geografia dei raccolti. Ogni piantagione ha una sua peculiare e caratteristica lavorazione che serve a conferire un sapore particolare, creando, cosi’, una vasta scala di gusti diversi l’uno dall’altro.” “In un mercato ormai globalizzato – conclude Arturo Felicetta – e’ l’elemento umano, dai campi al bancone del bar, cio’ che permette di distinguersi attraverso caffe’ specialty, certificati e raccolti a mano seguendo criteri di qualita’, sostenibilita’ e tracciabilita’ del prodotto”.