Da Napoli alla Luna, hanno 16, 18 e 19 anni e un’idea spaziale: “Il nostro rilevatore di raggi cosmici a dicembre sulla Luna”

MeteoWeb

Nel laboratorio del liceo scientifico Villari di Napoli c’è un rilevatore di raggi cosmici. L’ha costruito e piazzato lì Mattia Barbarossa, che non è un professore di fisica ma uno degli studenti più promettenti del suo istituto e non solo. Mattia, 16 anni, insieme a due colleghi poco più grandi, si è aggiudicato l’opportunità di far volare fin sulla Luna un proprio esperimento scientifico.

Mattia, Altea Nemolata e Dario Pisanti, sono infatti stati scelti da TeamIndus, la compagnia spaziale indiana che partecipa al contest Google lunar Xprize e che il 28 dicembre invierà una sonda sul nostro satellite naturale. A bordo della sonda sarà presente anche lo strumento ideato e costruito dai tre ragazzi campani, che hanno vinto la selezione Up2Moon, dedicato agli under 25, tra 3.000 candidature. Giovani e capaci, si sono confrontati con persone più grandi di loro: “Gli altri erano tutti laureati, avevamo a che fare con ingegneri e biologi” ricorda Altea. La loro squadra si chiama Space4Life, ed ha un obiettivo preciso: fornire la tecnologia che manca all’uomo per colonizzare lo spazio, fino a raggiungere Marte. Hanno inventato un prototipo di scudo contro i raggi cosmici che utilizza i batteri “estremofili”, quelli cioè che resistono a condizioni estreme,  per assorbire le radiazioni e proteggere gli astronauti.

Mattia e Dario, che di anni ne ha 22 ed è il più grande dei tre, laureando in ingegneria aerospaziale alla Federico II, si sono conosciuti durante il Nasa spaceapp challenge di Napoli, quasi un anno fa: “La lampadina si è accesa a me” racconta Mattia “per l’idea dei cianobatteri per assorbire le radiazioni. Dario invece ha dato corpo al progetto“. Grande come una lattina, deve pesare appena 250 grammi, una sfida nella sfida. Mattia e Dario hanno trascorso le vacanze estive lavorando al loro prototipo, “anche 19 ore al giorno”. Poi si è aggiunta Altea, di Caserta, al quinto anno dell’Istituto tecnico Giordani. Lei, 19 anni ancora da compiere, è la loro “biologa”: “Lavoravamo fino a notte fonda via Skype” spiega lei “e per me non è stato semplice perché i professori ci hanno messo sotto pressione per la maturità”.

Come ogni sogno che si rispetti, anche questi piccoli scienziati facevano sacrifici e le ore piccole mossi dalla passione per la scienza e per l’astronomia. I disegni del progetto e la stampa 3D sono serviti per il primo test all’Università di Napoli. Poi il viaggio in India alla TeamIndus come selezionati e il ritorno a casa da vincitori. Un’esperienza esaltante. “Avvertivi che qualcosa era pronto per andare nello spazio e stava nascendo lì” ricorda Dario. “Ovunque c’erano statuette di Star Wars e ogni team aveva un Obi Wan a cui fare riferimento“. Mattia, in realtà, è nato nel nuovo millennio, ed è un fan di Star Trek . Ma lì ha incontrato il suo futuro: “Erano tutti giovani, con tante idee innovative e il nostro sarà il primo esperimento europeo ma soprattutto italiano ad arrivare sulla Luna, avremo il nostro nome lassù”.

Per loro adesso inizia una nuova fase: nei prossimi mesi, fino al lancio di dicembre, dovranno lavorare duro per mettere a punto il loro dispositivo: “Saremo in stretto contatto con TeamIndus per far sì che l’esperimento possa viaggiare nello spazio” continua Dario. E poi l’appuntamento più atteso, il lancio alla fine del 2017 e l’allunaggio, previsto per gennaio. Una volta arrivato sulla superficie della Luna, mentre il rover indiano esplorerà l’ambiente per aggiudicarsi i 30 milioni messi in palio da Google, i cianobatteri dello scudo “Bios”, si metteranno al lavoro.

Saranno questi tre studenti a portarci su Marte? “Abbiamo le tecnologie per andarci. Uno dei più grossi problemi da risolvere è la protezione per l’uomo dalle radiazioni mortali dello spazio” osserva Mattia “e i cianobatteri potrebbero essere la soluzione. Inoltre, se lo scudo si dovesse rompere sarebbe possibile ricrearlo. Andiamo lassù per restarci e colonizzare”. La giuria internazionale è rimasta impressionata dal loro progetto: “È un’idea unica, sia per l’utilità nei futuri viaggi dell’uomo nello spazio” sottolinea Sheelika Ravishankar, “maestro Jedi” di TeamIndus “che per l’approfondimento con cui è stata progettata. Hanno considerato ogni aspetto e ogni possibile imprevisto”. “Speriamo che il nostro successo” conclude Altea “mostri a tutti i giovani che con l’impegno si possono ottenere grandi risultati”.

Condividi