Diabete: ecco la “Top 5” delle prestazioni più efficaci

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Insegnare alle persone con diabete il modo migliore per gestire la malattia, e adottare per loro un’assistenza su misura. Sono queste le pratiche sui primi gradini del podio, nella ‘top 5’ delle prestazioni che fanno meglio a chi convive con la malattia del sangue dolce. Le prime 2 sono terapia educazionale e personalizzazione del piano terapeutico; al terzo posto ci sono la diagnosi e la valutazione biomedica, al quarto la concreta valutazione della fragilità del paziente, e al quinto la garanzia dell’autocontrollo glicemico. Sesto in classifica l’utilizzo della cartella clinica informatizzata. La lista porta la firma dell’Associazione medici diabetologi (Amd), che “prima Europa – annuncia in una nota – ha misurato con metodo scientifico (Sroi, Social Return of Investment) l’impatto delle prestazioni diabetologiche sulla Salute dei pazienti in termini di outcome clinici ben definiti, a partire dagli standard di cura condivisi dalla classe medica (Amd-Sid, Società italiana di diabetologia)”. Il progetto lanciato dall’Amd si chiama ‘Diabetes & Intelligence’ (Dia&Int), e si propone di “comprendere l’effettiva utilità di ciascuna attività esercitata dal diabetologo – e quindi di ogni prestazione offerta ai pazienti – e supportare le Istituzioni preposte nella definizione, in prospettiva, di nuovi modelli assistenziali per la multi cronicità”. L’indagine ha coinvolto oltre 200 medici diabetologi aderenti alla società scientifica. “La Salute è fatta di tante componenti e di diverse variabili – spiega la presidente di Amd, Nicoletta Musacchio – e lo stesso può ripetersi per le prestazioni sanitarie. E’ una complessità, tipica dei servizi socio-sanitari, che rischia di generare confusione e di rendere difficilissima la valutazione degli approcci clinico-assistenziali che giovano davvero al paziente e al servizio sanitario. Ecco perché, occupandoci in prima linea di un problema articolato e vasto come il diabete, abbiamo scelto di misurare con precisione il nostro risultato professionale, facendo ricorso a un approccio scientifico rigoroso, il metodo Sroi”. Sroi è un modello di analisi organizzativa riconosciuto a livello internazionale – precisa l’Amd – che serve a misurare in modo oggettivo il valore generato da attività che hanno obiettivi sociali e non economici. Così come le prestazioni diabetologiche, con scopi prettamente assistenziali. Grazie a un livello di analisi molto dettagliato e a un forte coinvolgimento degli stakeholder nel processo di valutazione, il metodo permette di trasformare il dato qualitativo in score definiti. Quantità misurabili. Ma quali sono i risultati clinici che vengono migliorati dalle prestazioni della top 5 stilata dall’Amd? “Al primo posto l’ottimizzazione del controllo metabolico e al secondo il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare – elenca l’associazione – Seguono la riduzione delle ospedalizzazioni e degli accessi al pronto soccorso, la riduzione delle giornate di degenza dei pazienti eventualmente ospedalizzati, e l’aumento dell’appropriatezza nell’utilizzo di tutte le tecnologie disponibili per le persone con diabete”. Rileva Mustacchio: “Anche in questo caso è di particolare interesse il rigore scientifico degli outcome clinici individuati, garantito dal metodo Sroi, ma anche dal fatto che la nostra analisi propone una classifica degli obiettivi individuati dal Piano nazionale per la malattia diabetica e dal Manifesto dei pazienti, quindi risultati clinici già di per sé validati e di cruciale importanza”. “Una volta definiti gli outcome e le azioni prioritarie che li determinano – conclude la numero uno dell’Amd – sarà possibile individuare un modello ideale di attività che risponde ai bisogni di malattia e a quelli della persona con diabete. Il passo successivo sarà mettere a confronto questa situazione ‘ideale’ con quella reale. Saremo quindi in grado di identificare e colmare gap o aree di scostamento tra il piano assistenziale delineato nel Piano nazionale diabete e il modus operandi del diabetologo, caratterizzato da specificità che ad oggi non sono ancora implementate uniformemente nei percorsi di cura, come pure negli organigrammi aziendali”. Per l’Amd, “i risultati di Dia&Int – che si stanno arricchendo anche delle esperienze specifiche di infermieri e medici di medicina generale – consentiranno di fornire al ministero della Salute strumenti concreti per l’implementazione del Chronic Care Model, fondati su valori oggettivi e misurabili”.

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