Dichiarazione di Roma: 27 Governi uniti per il futuro dell’Europa

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La Dichiarazione di Roma, sottoscritta ieri in Campidoglio dai capi di Stato e di governo dei Ventisette e dai vertici delle istituzioni europee, non è solo la celebrazione di circostanza del 60° anniversario del Trattato sulla Comunità economica europea. 10 anni fa a Berlino, in occasione del 50°, prima della Grande Crisi e dell’austerità, quando l’Ue era da poco passata a 28 membri, era compiaciuta di sé e ancora poco scossa dalla globalizzazione e poco preoccupata dalle crisi geopolitiche, nonostante il pericolo terrorismo. All’epoca l’opinione pubblica era quasi tutta pro Europa e gli stati volevano solo entrarvi, non uscirne. La moneta unica sembrava promettere bene, quasi come una manna dal cielo.

Ora il messaggio che deve passare è un altro, ovvero quello che l’Ue dopo l’uscita dei britannici resta comunque unita e guarda fiduciosa ai prossimi dieci anni. Con l’ambizione di affrontare e vincere le sfide del mondo globalizzato, difendendo il proprio modello (l’economia sociale di mercato) e tornando ad affermare con determinazione i propri valori e principi, mentre i populismi e i nazionalismi montanti vorrebbero negarli. E soprattutto riconquistare la fiducia dei cittadini, ritornando a operare per la crescita economica e la prosperità delle sue nazioni e lottando contro la disoccupazione, tutelando meglio la sicurezza interna e le frontiere esterne, gestendo meglio i flussi migratori, restando aperta agli scambi internazionali e continuando a propugnare la risoluzione pacifica dei conflitti, il multilateralismo, proprio mentre altrove prevalgono tentazioni protezionistiche. Per questo, la Dichiarazione contiene anche un’agenda sulle tre aree di intervento in cui i Ventisette si impegnano a operare nei prossimi dieci anni: sicurezza, crescita, Europa sociale, ruolo dell’Ue nel mondo.

L’ultima bozza aveva inserito molti cambiamenti per rispondere alla forte avversione della Polonia e degli altri paesi dell’Est al concetto di “Europa a più velocità”; che ormai non appare più in quanto tale, come nuova via da seguire, ma è stato ridotto a un richiamo alla formula delle “cooperazioni rafforzate”, già presente nel Trattato Ue e rispondente a realtà già operanti nella pratica. Alla fine, su questo punto il testo è stato modificato così: “Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato, in linea con i trattati e lasciando la porta aperta a coloro che desiderano associarsi successivamente. La nostra Unione è indivisa e indivisibile”. E’ stata aggiunta nel capitolo sull’Europa sociale – anche per rispondere alle preoccupazioni greche – una parola fondamentale che mancava prima: “disoccupazione”. L’Unione “combatte la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e la povertà”, si legge nel testo. C’è, inoltre, il richiamo al ruolo dell’Unione nel “creare crescita e lavoro”, e nel promuovere “il progresso economico e sociale, così come la coesione e la convergenza” fra le economie degli Stati membri, “mantenendo l’integrità del mercato interno e tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo chiave dei partner sociali”.

E si parla anche dei giovani, che devono “ricevere la migliore educazione e formazione” e poter “studiare e trovare lavoro in tutto il Continente”. La dichiarazione cita, “en passant” anche energia, ambiente e clima, propugnando “un’Unione in cui l’energia è sicura e a buon mercato e l’ambiente pulito e sicuro”, e che “promuove una politica climatica positiva”. E non manca un riferimento all’Unione del mercato digitale (“un Mercato Unico forte, connesso” che si sviluppa “aderendo alle trasformazioni tecnologiche”). La Commissione è riuscita a inserire anche il mantra del suo presidente, Jean-Claude Juncker, che continua a propugnare una Unione “grande sulle grandi questioni e piccola su quelle piccole”, secondo una interpretazione del principio di sussidiarietà che però potrebbe portare anche alla rinazionalizzazione di alcune politiche comuni (come voleva il Regno Unito e come vorrebbero i paesi dell’Est, e anche certe lobby industriali, in particolare per quanto riguarda l’ambiente). Nel capitolo sulla politica estera, oltre all’impegno a rafforzare la sicurezza e difesa comune e la stabilità del vicinato, “in cooperazione e complementarietà con la Nato” c’è un richiamo al ruolo mondiale dell’Ue, “impegnata nelle Nazioni Unite” e nella difesa di “un sistema multilaterale basato sulle regole” che promuova un “libero commercio” che sia anche “equo” Sull’immigrazione, infine, la Commissione, la Germania e l’Italia si sono opposte all’inserimento dell’obiettivo di “arginare il flusso dei migranti” che avrebbero voluto i paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia).

L’obiettivo sarà quello di “una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, che rispetti le norme internazionali”, e quindi anche gli obblighi di accoglienza dei rifugiati. Resta, comunque, l’impegno per “frontiere esterne rese sicure”, in un’Unione Europea in cui “tutti i cittadini si sentono sicuri e possono muoversi liberamente”.

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