Oggi è l’Equinozio, il primo giorno di primavera: ecco i proverbi più curiosi

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Oggi, 20 marzo, è  il giorno dell’equinozio di primavera e tanti sono i proverbi legati ad esso. Un proverbio molto noto, riferito proprio all’equinozio di primavera, dice: “Marzo marzotto/il giorno è lungo come la notte”; mentre un altro recita: “Quando cantano le botte/ il giorno è lungo come la notte” dove le “botte”, in forma dialettale, sono i rospi che, uscendo all’aperto per l’accoppiamento, più che cantare gracchiano. Sempre il rospo è il protagonista di un altro proverbio: “Quando canta il botto/ l’inverno è morto”, ossia l’inverno è finito, anche se marzo, dal punto di vita meteorologico, è davvero imprevedibile. Un detto popolare molto conosciuto, riguardante San Benedetto dice: “San Benedetto la coperta giù dal letto” oppure “San Benedetto, la rondine sotto il tetto” e se qualcuno obietta di non aver visto ancora una rondine volare, la saggezza dei proverbi popolari, pensando davvero a tutto, controbatte con: “Una rondine non fa primavera”.

PROVERBI 4Il giorno dell’equinozio di primavera il contadino poteva cambiar padrone, com’era nell’uso contrattuale: “Quando canta il ghirligò( tordo), chi ha cattivo padrone mutar lo può” , in contrapposizione al detto: “Quando canta il fringuello/ buono o cattivo si tenga quello”. Il fringuello canta in autunno, periodo durante il quale non si poteva cambiare padrone. La letteratura popolare è piena di proverbi, provenienti da tutte le regioni d’Italia, riguardanti il mese di marzo. Eccone alcuni più famosi: “Marzo pazzerello guarda il sole e prendi l’ombrello”,Al primo tuon di marzo escon fuori tutte le serpi”. Dovendo i ritmi lavorativi nei campi, dipendere dalle condizioni metereologiche: “Quando marzo va secco, il gran fa cesto e il lin capecchio”; “Di marzo ogni villan va scalzo” o “Di marzo, chi non ha scarpe vada scalzo e chi le ha, le porti un altro po’ più in là”.

Ed ancora: “Se marzo non marzeggia, giugno non festeggia” (oppure aprile mal pensa), “Se febbraio non febbreggia, marzo campeggia” ; “Marzu, acqua e suli, carricari fa li muli”. Si diceva, inoltre: “Chi nel marzo non pota la sua vigna, perde la vendemmia”; “La nebbia di marzo non fa male ma quella di aprile toglie il pane e il vino” e “La luna marzolina fa nascere l’insalatina”. Ma i proverbi riguardanti il mese di marzo sono davvero infiniti: “Marzo ventoso, frutteto maestoso”, “Marzo molle, gran per le zolle”;Le api sagge in marzo dormono ancora”; “Marzo o buono o rio, il bue all’erba e il cane all’ombra”; “Vento di marzo non termina presto”, “Marzo non ha un dì come l’altro” per cui “Chi ha un buon ciocchetto lo serbi a marzetto”. Vi è poi un divertente proverbio che racchiude tutti i mesi dell’anno: “Gennaio zappatore, febbraio potatore, marzo amoroso, aprile carciofaio, maggio ciliegiaio, giugno fruttaio, luglio agrestaio, agosto pescaio, settembre ficaio, ottobre mostaio, novembre vinaio, dicembre favaio”.

La magica data dell’equinozio primaverile si lega, in qualche modo, alla storia del Cristianesimo: fu il Concilio di Nicea del 325 d.C. a stabilire che la Pasqua sarebbe caduta, secondo il calendario lunare, nella prima domenica successiva alla prima luna piena che segue l’equinozio di primavera. Le fonti agiografiche di San Benedetto, fondatore del primo ordine cattolico nella storia del Cristianesimo, fanno sapere che il Santo Patrono d’Europa spirò il 21 marzo, quando la prima rondine tornava al suo nido a Montecassino, nido dell’ordine Benedettino. Eppure, nonostante il proverbio dica “San Benedetto, la rondine sotto il tetto”; nel giorno dell’equinozio di primavera di rondini non se ne vedono ancora volare nei nostri cieli, pertanto dobbiamo attendere i primi di aprile per sentire garrire i primi balestrucci nel cielo primaverile.

Resta un dubbio da chiarire: come mai vi è uno scarto di circa 10 giorni tra l’equinozio di primavera e l’arrivo delle prime rondini? Per capirci qualcosa in più, occorre tornare al 1582, quando papa Gregorio XIII decise di introdurre il calendario gregoriano. In una sola notte, il pontefice tolse 10 giorni dal calendario, passando dal 5 di ottobre al 15 dello stesso mese… decisione resa necessaria in quanto il precedente calendario giuliano, che andava accumulando un giorno di ritardo ogni 128 anni, al tempo di Gregorio XIII era già 10 giorni indietro sul corso solare. L’intervento di Gregorio XIII rimise le cose a posto ma il vecchio proverbio in rima baciata continuò ad esere tramandato oralmente di generazione in generazione.

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