Ricerca, Parkinson: ipersessualità e ludopatia non dipendono dai farmaci

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Ipersessualità, gioco d’azzardo ai limiti della ludopatia, bisogno irresistibile di mangiare o fare shopping: spesso i malati di Parkinson sviluppano comportamenti impulsivi-compulsivi come questi. Ma a causarli non sarebbero i farmaci dopaminergici come si è ipotizzato, bensì il danno cerebrale provocato dalla patologia. Un’ipotesi avvalorata dai risultati di uno studio pubblicato su ‘Molecular Psychiatry’, condotto dai ricercatori dell’Unità di neuroimaging quantitativo dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano e da colleghi dell’università di Belgrado. Il lavoro, finanziato dal ministero serbo dell’Educazione e delle Scienza, apre alla possibilità di prevedere attraverso la risonanza magnetica il rischio che una persona parkinsoniana possa andare incontro nel tempo a queste complicanze. La malattia di Parkinson, caratterizzata da disturbi motori come tremore a riposo, rallentamento dei movimenti e rigidità degli arti – ricordano dall’Istituto di via Olgettina, fra le strutture del gruppo ospedaliero San Donato – è la seconda patologia neurodegenerativa più frequente dopo l’Alzheimer. I pazienti soffrono spesso anche di disabilità cognitive, disturbi dell’umore come ansia e depressione, e problemi psicopatologici. Tra questi ultimi i più frequenti sono proprio i comportamenti impulsivi-compulsivi, contraddistinti dall’incapacità di controllare desideri e istinti, che si traduce spesso nella ripetizione di azioni dannose per sé o per gli altri. Condotte che interferiscono con la vita quotidiana e la peggiorano. Ma se per anni sono state considerate come un possibile ‘effetto collaterale’ dell’assunzione di medicinali anti-Parkinson che mimano l’attività della dopamina (il cosiddetto ‘ormone del piacere’ che viene a mancare nei pazienti), è più recente la tesi che alcuni di questi comportamenti siano in realtà dovuti ad alterazioni funzionali e strutturali del cervello, conseguenti al Parkinson in sé. Una via che lo studio italo-serbo indica come la più giusta da seguire. Per testare l’ipotesi, gli scienziati hanno preso in esame 85 persone con Parkinson, 35 con comportamenti impulsivi-compulsivi e 50 senza. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a risonanza magnetica per capire se vi fossero alterazioni funzionali e strutturali delle aree cerebrali, e per identificare i circuiti alterati nei malati con condotte impulsive-compulsive. E emerso che – a fronte di anomalie simili tra i 2 gruppi studiati, localizzate nell’area principale colpita dalla malattia ossia quella motoria – i pazienti con comportamenti impulsivi-compulsivi presentano un danno nelle aree cerebrali coinvolte nella regolazione dei processi di gratificazione. “Non solo – precisano Francesca Imperiale e Federica Agosta del San Raffaele, prime autrici dello studio – ma con l’aumentare della durata e della gravità dei disturbi, sia motori che comportamentali, la comunicazione tra i 2 network cerebrali di riferimento peggiora, ovvero si aggrava il modo in cui queste due aree del cervello comunicano tra loro“. Commenta Massimo Filippi, direttore dell’Unità di neuroimaging quantitativo e ordinario di Neurologia all’università Vita-Salute San Raffaele: “Lo studio mette in luce la stretta connessione tra sintomatologia motoria, cognitiva e psichiatrica. E sottolinea una volta di più come sia importante considerare questi aspetti in fase di diagnosi e nella valutazione della prognosi di questi pazienti“. I risultati della ricerca suggeriscono inoltre che “la risonanza magnetica potrebbe essere uno strumento ideale per identificare in modo precoce i pazienti a rischio di sviluppare questi disturbi comportamentali, affinché possano beneficiare di una terapia farmacologica su misura“.

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