Il 1 maggio è un’occasione per riflettere sul mondo del lavoro. Si tratta davvero della Festa del lavoro o del “ricordo del lavoro” ? Si sa, ogni 1 maggio è tempo di bilanci.
La disoccupazione è schizzata al 12%, quella giovanile (15-24 anni) supera il 40%, l’Italia conta 3 milioni di disoccupati e circa 10 milioni di poveri, il tasso di occupazione nel nostro Paese è tra i più bassi dell’Ue. Notevoli sono gli abbassamenti salariali, netto divario tra contratti a tempo e a tempo indeterminato, con le donne tra le più colpite e, di conseguenza, disparità sociali.
Riflessioni, queste, che come macigni, pesano sulla nostra coscienza, lasciando l’amaro in bocca per l’incertezza sul prossimo futuro. A ciò si aggiunge la questione sicurezza: non si sa, con certezza quanti sono gli infortuni e i morti sul lavoro… e si muore mentre si cerca di “portare il pane a casa” e di garantire disperatamente un futuro ai propri figli.In notevole aumento le tecnopatie, malattie causate da professioni rischiose e usuranti, per non parlare del lavoro nero, delle zone franche dove tutto è concesso.
Pensiamo, ad esempio, al capolarato agricolo, agli eserciti infiniti di manodopera invisibile e clandestina impiegati nell’edilizia; agli operai delle grandi industrie alimentari, assunti da cooperative intestate a prestanome, obbligati a turni massacranti pena il licenziamento. A ciò si aggiungono i lavoratori dipendenti assunti con contratto part-time ma realmente impiegati a tempo pieno e la questione maternità, con pressanti interrogatori cui le donne sono sottoposte per capire se hanno intenzione di avere un figlio ancora prima di potersi mettere in gioco e mostrare le loro competenze.