Corea del Nord: fallisce il test del missile balistico dopo il monito degli Usa

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La Corea del Nord ha effettuato nella notte il lancio di un missile balistico – lancio che però è fallito – in apparente risposta a un appello degli Stati Uniti alle Nazioni Unite a contrastare la “minaccia nucleare” rappresentata da Pyongyang con un rafforzamento delle sanzioni internazionali. Qualche ora dopo una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza, “la Corea del Nord ha lanciato un tipo di missile balistico non identificato da un sito” a nord di Pyongyang, ha annunciato il ministero della Difesa sudcoreano. “Noi abbiamo il sospetto che questo test sia stato un fallimento”, ha indicato la stessa fonte, che ha chiarito che il missile non ha volato che pochi minuti, verso nordest, e ha raggiunto 71.000 metri di altezza. Il comando americano per il Pacifico (Pacom) ha confermato il lancio di un “missile che non è uscito dal territorio nordcoreano”. Il presidente Donald Trump ha inoltre accusato Pyongyang di aver “mancato di rispetto” alla Cina, sua principale alleata. “Male!“, ha scritto su Twitter l’inquilino della Casa Bianca.

Da parte sua il Giappone ha presentato “una protesta formale” al regime di Pyongyang, dopo aver riunito il proprio Consiglio di Sicurezza nazionale. Nel momento del lancio fallito, il segretario di stato americano Rex Tillerson, che aveva presieduto la riunione del Consiglio di Sicurezza, aveva appena lasciato New York, dopo aver esortato gli alleati a contrastare una “minaccia nucleare” nordcoreana che avrebbe delle “conseguenze catastrofiche“. Aveva in particolare pressato la Cina a isolare Pyongyang a livello economico e diplomatico. Il segretario di stato ha chiesto “pressioni economiche e diplomatiche“, minacciando comunque un ricorso alla forza per far desistere dai suoi propositi il regime di Kim Jong-Un. “Non agire adesso sulla questione di sicurezza più urgente al mondo potrebbe avere conseguenze catastrofiche”, ha avvertito Tillerson. A conferma del carattere di urgenza per gli Stati Uniti, i cui territori delle Hawaii o della costa nordovest potrebbero essere “a portata” di missili nordcoreani, il segretario di stato ha affermato che “la minaccia di un attacco nucleare nordcoreano su Seoul o Tokyo è reale”, insieme al fatto che il regime potrebbe un giorno “colpire gli Stati Uniti“. “Tutte le opzioni in risposta a future provocazione devono restare sul tavolo”, ha insistito, dopo che Donald Trump aveva a sua volta menzionato la “possibilità che si finisca per avere un conflitto davvero importante con la Corea del Nord“. Tillerson ha sottolineato la “volontà di contrastare l’aggressione della Corea del Nord, con un’azione militare se necessario“, assicurando che Washington “preferisce di gran lunga una soluzione negoziata” a livello diplomatico. Mentre nella mattinata di ieri aveva ribadito – ai microfoni dell’emittente radiofonica Npr – un’offerta di dialogo diretto con Pyongyang, il segretario di stato ha affermato di fronte alle Nazioni Unite che il suo Paese “non premierà i cattivi comportamenti (della Corea del Nord) con dei negoziati”. Pyongyang si è impegnata nel 2003 nei negoziati a sei con la Corea del Sud, il Giappone, la Russia, gli Stati Uniti e la Cina. I colloqui erano falliti nel 2009 e l’amministrazione di Barack Obama (2009-2017) non aveva smesso per otto anni di agitare lo spettro delle sanzioni, alternandolo con la proposta di negoziati. Il regime comunista, però, ha per tutta risposta moltiplicato i lanci di missili balistici, procedendo a cinque test nucleari sotterranei, due dei quali nel 2016.

Programmi militari che gli sono valsi una serie di risoluzioni dell’Onu e una serie di sanzioni internazionali. Secondo esperti dell’Onu, queste misure punitiva hanno però scarso impatto. Malgrado Rex Tillerson abbia reclamato a gran voce che la comunità internazionale “imponga più pressioni diplomatiche ed economiche contro il regime nordcoreano”, in particolare rafforzando le sanzioni economiche e rompendo le relazioni diplomatiche. E’ dunque alla Cina, alleata di Pyongyang, che Rex Tillerson si è inizialmente rivolto. Arrivato al potere il 20 gennaio, l’amministrazione Trump aveva seguito in un primo tempo i passi dell’equipe Obama sul dossier della Corea del Nord, ma sembra voler esercitare maggiori pressioni su Pechino. “La Cina rappresenta il 90 per cento degli scambi commerciali nordcoreani, la Cina ha un’influenza economica su Pyongyang che è unica e il suo è un ruolo particolarmente importante”, ha sottolineato Tillerson, alla presenza del suo omologo cinese, Wang Yi, con il quale ha successivamente avuto un colloquio faccia-a-faccia. Il segretario di stato ha detto di aspettarsi “azioni supplementari” da Pechino. L’omologo cinese gli ha replicato che il suo Paese applica in modo scrupoloso tutte le sanzioni dell’Onu.

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