Made in Italy: l’industria alimentare è contro l’etichetta a semaforo

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L’industria alimentare italiana ribadisce il suo no al sistema di etichettatura a semaforo che la Gran Bretagna ha già introdotto e potrebbe essere adottata da altri paesi europei. Un meccanismo che si basa su parametri non adeguati a valorizzare la qualità del cibo italiano. “L’alimentare italiano è un’eccellenza che va tutelata e promossa ed è per questo che ancora una volta vogliamo ribadire il no convinto del nostro comparto a provvedimenti come quello dell’introduzione dell’etichettatura a semaforo il cui unico effetto sarebbe quello di penalizzare la grandezza dei nostri prodotti livellandone la qualità verso il basso”. E’ quanto ha detto Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, intervenendo al dibattito che si è tenuto questa mattina alla Farnesina su protezionismi e etichettatura a semaforo. “Un sistema così concepito non solo sarebbe dannoso per il settore, ma anche ingannevole per il consumatore – sostiene il presidente – che rischierebbe di trovare un incoraggiante bollino verde su prodotti che privilegiano l’uso di ingredienti di sintesi e al contrario un bollino rosso su alimenti di grande qualità come olio extra vergine di oliva o parmigiano”. “Alcune delle multinazionali – dice Scordamaglia – che hanno riproposto il sistema sono presenti in Italia con proprie fabbriche e proprio per questo hanno una particolare sensibilità su tali temi”. “Lavoreremo quindi insieme per correggere il sistema proposto – annuncia Scordamaglia – prendendo quello che c’è di buono come ad esempio il riferimento alle porzioni ed eliminando quanto c’è di negativo, come la semplificazione cromatica. Proporremo quindi a Bruxelles uno studio serio per trovare un sistema unico che premi la qualità ed abbia solide ed inconfutabili basi scientifiche”. Un appello quindi alla Commissione europea che Scordamaglia invita a “uscire dalla sua latitanza e ad assumersi le proprie responsabilità promulgando leggi scientificamente fondate e uguali per tutti i paesi membri”. Un esempio su tutti l’improcrastinabilità di un obbligo comunitario sull’origine della materia prima “altrimenti non si tutela realmente il consumatore italiano come dimostra il decreto latte che lascia fuori il 50% del latte Uht venduto in Italia proveniente da altri Paesi ed oltre il 30% dei formaggi non assoggettati ad alcuna norma perché prodotti da aziende non italiane e quindi non soggetta a tali norme nazionali”. “Dal canto suo l’Italia dovrebbe cominciare a essere più consapevole del valore del suo settore alimentare, – conclude Scordamaglia – valore ampiamente riconosciuto all’estero, senza lasciare spazio ad atteggiamenti autolesionisti frutto spesso di un’informazione che privilegia un approccio semplicistico e scandalistico a discapito dell’approfondimento che un settore centrale come quello agroalimentare merita”.

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