Primavera stagione ‘nera’ per chi soffre di cefalea. Al cambio di stagione le crisi dolorose si manifestano infatti con maggiore violenza. Tuttavia non ci sono molte soluzioni per gli attacchi acuti, in quanto la disponibilità di farmaci utili al loro trattamento è del tutto limitata, senza contare che soltanto una minima parte dei pazienti riceve una diagnosi tempestiva e, quindi, cure adeguate. Ma l’Italia, in questo campo, è in grado di dare ‘lezione’ in Europa. A fare il punto sono stati i massimi esperti nel campo delle cefalee guidati da un italiano, il presidente della Federazione Europea delle Cefaleee e direttore della Scuola di Specializzazione Medicina Interna all’Università La Sapienza di Roma, Paolo Martelletti, che, in occasione della Giornata europea dedicata alla Cefalea a Grappolo, celebrata con l’inizio della primavera, ha tenuto due conferenze, una a Bruxelles, al Parlamento Europeo, al Palazzo Altiero Spinelli, e a Londra, alla Casa del Parlamento, Palazzo di Westminster, Aula Winston Churchill.
“La Cefalea a grappolo è famosa tanto quanto poco conosciuta. La violenza delle crisi dolorose stagionali – spiega Martelletti – la porta ad essere definita come il peggior dolore che l’uomo possa mai aver conosciuto. Colpisce 64.000 persone nel Regno Unito, mezzo milione nella vecchia Europa, 7 milioni nel mondo intero. Solo un terzo di questi pazienti riceve una diagnosi tempestiva e quindi una cura adeguata”. Gli eventi europei sono stati creati per aumentare la conoscenza di questa “devastante malattia in modo da prevedere percorsi facilitati per l’accesso alle cure, che rispettino la fulminea insorgenza degli attacchi dolorosi, della durata di 2-3 mesi”. L’esperto sottolinea, poi, che “la disponibilità di farmaci utili al trattamento per gli attacchi acuti e’ del tutto limitata”. E aggiunge: “Questa malattia, benché purtroppo non inserita in Italia nella recente revisione dei Lea tra le malattie rare, lo e’ di fatto, e questi pazienti sono palesemente soli“, dice Martelletti che invita, pero’ a non considerare questa come una malattia “senza speranza. La ricerca – conclude – sta approntando nuove armi terapeutiche che a breve daranno il loro contributo: gli anticorpi monoclonali contro il Gene della Calcitonina”.