Si possono aspettare anche anni per una diagnosi, mesi per una visita o un esame, giorni al pronto soccorso per un posto letto. Ma una volta entrati nello studio medico, il tempo si riduce drammaticamente: ne viene dedicato sempre meno alla visita e all’ascolto dei pazienti, o all’assistenza domiciliare. Non solo. Costi insostenibili, burocrazia ‘trita-diritti’ e il Piano nazionale della cronicità ancora al palo completano fa fotografia scattata dal XV Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva, presentato oggi Roma dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (Cnamc), con il contributo non condizionato di Msd. E’ un percorso a ostacoli la vita dei malati cronici – 38% degli italiani – e rari – tra i 450 mila e i 670 mila – e dei loro familiari, che devono sopperire a molte carenze utilizzando il proprio tempo e le proprie risorse economiche: fino a 10.000 euro l’anno vengono spese per l’assistenza psicologica, l’acquisto di farmaci e parafarmaci, la riabilitazione a domicilio; fino a 60.000 euro l’anno per la retta della residenza sanitaria assistita. Non si snelliscono le procedure burocratiche – denuncia il rapporto – come nel caso del rilascio di piani terapeutici per i farmaci o di protesi e ausili, l’assegnazione del contrassegno auto per invalidi o il rinnovo della patente. Fra le malattie croniche, ipertensione (17,1%), artrosi/artrite (15,6%) e malattie allergiche (10,1%) sono le tre più diffuse. Oltre il 60% delle associazioni segnala la carenza di servizi socio-sanitari sul territorio (logopedia, riabilitazione, assistenza domiciliare, servizi di trasporto) e le difficoltà di orientarsi fra i servizi, più del 50% evidenzia problemi in campo lavorativo, legati alla propria patologia, disagi nel comunicare la malattia, difficoltà economiche. I pazienti lamentano un deterioramento nel rapporto con il medico: il 78% riscontra di aver poco tempo a disposizione per l’ascolto, il 44% di aver visto sottovalutati i propri sintomi, il 42% la poca reperibilità, il 26% la scarsa empatia. Visti i ‘buchi’ mai colmati sul territorio, i cittadini, nel 68% dei casi, devono ricorrere al pronto soccorso. Un’associazione su due afferma che non esiste un percorso agevolato, che garantisca tempi certi per l’accesso alle prestazioni sanitarie. Nel frattempo, la riduzione dei posti letto ospedalieri comporta che, in due casi su cinque, i pazienti debbano ricoverarsi lontano dalla propria residenza o, in più di un caso su tre, accontentarsi di un posto letto in un reparto non idoneo: ad esempio, ragazzi ricoverati in reparti per adulti, pazienti immuno-compromessi in reparti affollati e potenzialmente pericolosi. Una volta ricoverati bisogna, poi, in più di un caso su cinque, fare i conti con pasti non adeguati e mancanza di attenzione del personale medico/infermieristico. Per il 15% delle associazioni non viene rispettata la dignità della persona a causa della dotazione del reparto, evidenzia il rapporto sulla cronicità, da cui emerge anche un ritardo nei programmi di prevenzione del nostro Paese. (AdnKronos)