La mortalità in Italia si è ridotta in 11 anni (2003-2014), con un cambiamento delle cause dei decessi: meno morti per problemi di cuore ma crescono quelle per malattie psichiche e infettive. Nel 2015 si è assistito però a un aumento del numero di morti in valore assoluto rispetto agli anni precedenti: a fronte dei circa 600 mila decessi medi nel 2013 e 2015, nel 2015 si sono verificate 49 mila morti in più. E’ quanto emerge dal Rapporto Osservasalute 2016, pubblicato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane dell’Università Cattolica di Roma, presentata oggi al Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma.
A livello generale i trend di mortalità nel periodo analizzato sono decisamente in diminuzione per entrambi i generi. La diminuzione dei tassi di mortalità in questi 11 anni – si legge nel Rapporto – è sicuramente dovuta al calo dei rischi delle principali cause di morte, soprattutto delle malattie del sistema circolatorio che, in generale, rappresentano la prima causa di morte in Italia e dei tumori, anche se in maniera meno marcata. Si muore di più per malattie psichiche e infettive e parassitarie, e questo vale sia per gli uomini che per le donne. Tra il 2003 e il 2014, il tasso standardizzato di mortalità per disturbi psichici passa da 1,8 a 2,4 per 10 mila per entrambi i generi. Analogamente, la mortalità per malattie infettive e parassitarie fa registrare un incremento del 50% circa che ha interessato, principalmente, fasce di popolazione più anziana.
All’interno del gruppo delle malattie infettive e parassitarie la setticemia è la maggiore causa responsabile dell’incremento osservato. Il 2015 è stato però un anno particolare per la mortalità in Italia, con 49 mila morti in più. Non vi è una spiegazione univoca per tale fenomeno – si legge ancora nel Rapporto – ma concorrono più fattori contemporaneamente. L’incremento della mortalità si è verificato, essenzialmente, nei primi 3 mesi dell’anno (+6.000, +10.000 e +7.500) e nel mese di luglio (+9.500 mila). L’eccesso è, quindi, concentrato nel periodo invernale, quando è anche maggiore la diffusione di epidemie influenzali, e nel mese di luglio, spiega l’Osservasalute, durante il quale le temperature sono state particolarmente elevate. L’invecchiamento della popolazione spiega parte dell’incremento dei decessi osservato nel 2015, ma questo aumento delle morti rispetto al 2013 e al 2014 si può leggere anche come una posticipazione dei decessi che non si sono verificati nei 2 anni precedenti, entrambi caratterizzati da una mortalità molto bassa. Tutto ciò, naturalmente, ha dei riflessi sulla speranza di vita della popolazione. Al 2015, la speranza di vita alla nascita è più bassa di 0,2 anni negli uomini e di 0,4 anni nelle donne rispetto al 2014, attestandosi, rispettivamente, a 80,1 anni e a 84,6 anni.
Questi rallentamenti sono generalizzabili a tutto il Paese, passando da casi in cui la diminuzione e stata cospicua (Valle d’Aosta) ad altri in cui la speranza di vita è rimasta ferma al livello del 2014 o, invece, aumentata lievemente. Nel complesso, nei 5 anni trascorsi dal 2011 al 2015, gli uomini hanno guadagnato 0,6 anni, mentre le donne 0,2 anni. Come ormai è evidente da alcuni anni, “la distanza della durata media della vita di donne e uomini si sta sempre più riducendo” anche se, comunque, è ancora fortemente a favore delle donne (+4,5 anni nel 2015 vs +4,9 anni nel 2011). Nella Pa di Trento si riscontra, sia per gli uomini che per le donne, la maggiore longevità (rispettivamente, 81,2 anni e 85,8 anni). La Campania, invece, è la regione dove la speranza di vita alla nascita è più bassa, 78,3 anni per gli uomini e 82,8 anni per le donne.