Cortocircuito negativo nell’alta atmosfera terrestre? Occhio alle tempeste solari. Che le attività violente in atto sulla nostra stella fossero responsabili di un eccesso di particelle cariche negativamente, distribuite a “macchie” in corrispondenza dei poli terrestri – con un conseguente disturbo alle comunicazioni, ai sistemi di navigazione e alle reti elettriche – era cosa nota nell’ambiente. La novità ora – spiega l’Agenzia Spaziale Italiana – sarebbe che al “temperamento” esplosivo del Sole sarebbe imputabile anche dell’effetto opposto, ovvero un deficit delle stesse particelle in quelle aree della ionosfera.
Secondo un recente studio, condotto da un gruppo internazionale di ricercatori e apparso recentemente sulla rivista Radio Science, le “turbolenze” del nostro astro madre possono anche indurre alla fuga le particelle dotate di carica elettrica negativa. Generando un identico risultato: danni alle costellazioni satellitari, ai sistemi radio e alle reti energetiche.
Gli autori della pubblicazione, un team composto da scienziati provenienti dalla Danimarca, dagli Stati Uniti e dal Canada, ha elaborato la propria tesi a partire dall’osservazione di una tempesta solare avvenuta il 19 febbraio 2014, i cui effetti sono stati documentati dal network globale di navigazione satellitare. I dati sono stati processati con un software messo a punto dagli esperti NASA JPL.
Le tempeste solari si “accendono” in seguito ad eruzioni di materia note come espulsioni di massa coronale: questi fenomeni esplosivi generano una grande nube di particelle cariche che attraverso il vento solare si allontana dalla stella e viaggia nello spazio, disturbando l’equilibrio magnetico dell’intero Sistema Solare. Nel nostro caso, quando questo flusso energetico entra in contatto con il campo magnetico terrestre interagisce con esso e dà il la a tempeste geomagnetiche.
Questa serie di processi fisici ad alta energia generalmente provoca la formazione di aree instabili a circa 80 chilometri di distanza dalla superficie terrestre, in cui c’è un eccesso di elettroni. Ma – sempre secondo gli autori della ricerca, titolata “Multiinstrument observations of a geomagnetic storm and its effects on the Arctic ionosphere: A case study of the 19 February 2014 storm” – la violenza dell’evento può suscitare anche l’effetto contrario.
La “miccia” della tempesta del febbraio 2014 sarebbe stata una doppia espulsione di massa coronale che avrebbe prodotto, come previsto, enormi “macchie” di elettroni nella ionosfera, proprio sopra la Groenlandia. Accanto ad esse però, gli scienziati avrebbero individuato zone di estensione compresa tra i 500 e i 1000 chilometri in cui gli elettroni sarebbero stati letteralmente aspirati fuori, inspiegabilmente espulsi.
La fuga degli elettroni potrebbe essere spiegata con la ricombinazione degli stessi con gli ioni a carica positiva o con una redistribuzione verticale delle particelle. In ogni caso, le conseguenze permangono: che si tratti di impoverimento di esubero di elettroni, il nostro pianeta a causa delle attività del Sole resta soggetto al rischio black out delle comunicazioni, ad una riduzione nell’accuratezza dei sistemi di navigazione o a danni ai satelliti e alla rete elettrica.