Sembrano in aumento i segnali di irrequietezza del vulcano dei Campi Flegrei, ma da un punto di vista pratico, nulla cambia nello stato della zona, in allerta gialla dal 2012. Lo rileva la ricerca pubblicata sulla rivista Nature Communications e condotta in collaborazione da University College London (Ucl) e Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). Sono dati che hanno “una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile”, ha precisato l’Ingv, rilevando che il livello di allerta nei Campi Flegrei resta giallo, ossia di attenzione, come e’ dal dicembre 2012.
”I segnali indicano che c’è una dinamica in atto, ma non sappiamo se questa ‘agitazione’ a lungo termine porterà ad un’eruzione”, ha detto all’ANSA il vulcanologo Stefano Carlino, dell’Osservatorio Vesuviano, coautore della ricerca con Giuseppe De Natale, sempre dell’Osservatorio Vesuviano, e Christopher Kilburn, dell’Ucl. ‘‘Non sappiamo quale sia la soglia di criticità dell’energia accumulata”, ha aggiunto Carlino. Tuttavia, il modello indica che se la situazione dovesse evolvere verso un’eruzione ‘‘questa potrebbe essere simile a quella del 1538, che è stata piccola rispetto a quelle catastrofiche che hanno generato la caldera dei Campi Flegrei”.
Secondo lo studio “i segni di irrequietezza che si sono manifestati nei Campi Flegrei negli ultimi 67 anni somigliano molto a quelli osservati 500 anni fa e che nell’arco di un secolo hanno portato all’eruzione del 1538. Analizzando le deformazioni del suolo nei Campi Flegrei, ossia il sollevamento e abbassamento del suolo (bradisismo), e il tasso di sismicità dell’area” i ricercatori hanno messo a punto un modello che aiuta a prevedere il comportamento di questo supervulcano.
Dal 1950 il suolo si e’ sollevato di oltre 4 metri nel porto di Pozzuoli, a causa dei movimenti del magma a tre chilometri di profondita’, e nell’area ci sono stati circa 20.000 terremoti. Sulla base del modello sono stati analizzati i movimenti del suolo avvenuti negli ultimi decenni, i principali dei quali risalgono agli anni ’70 e ’80. Emerge cosi’ che la somma delle deformazioni avvenute potrebbe aver causato un accumulo di energia nella crosta terrestre che potrebbe averla avvicinata al punto di rottura. E’ pero’ impossibile prevedere, hanno rilevato i ricercatori, se e quando possa avvenire un’eruzione.