Rimettere in connessione le persone con la natura per Salvare il Pianeta e tutelare l’Ambiente. Questo l’obiettivo principale che si pone quest’anno la Giornata Mondiale dell’Ambiente, in programma il 5 giugno, che arriva a pochissimi giorni dal G7 di Taormina che ha evidenziato una differente visione da parte di alcuni grandi Paesi del mondo – come gli USA – che in parte rischia di mettere in discussione le politiche sul clima approvate a Parigi nel 2015 durante COP21. Ma da dove partire per vincere la sfida lanciata dalla Giornata Mondiale dell’Ambiente? Per rispondere è importante chiarire che a livello globale, il settore agricolo produce il 24% dei gas a effetto serra (il settore industriale si ferma al 21% mentre quello dei trasporti al 14%)[1], in parallelo quasi il 40% della superficie terrestre è sottoposta alle attività agricole e zootecniche, con una porzione di suolo idoneo alla coltivazione pari a 4,4 miliardi di ettari (ossia 146 volte l’Italia) e, non da ultimo, l’attività agricola consuma il 70% dell’acqua dolce che preleviamo. Secondo il Food Sustainability Index[2], l’Italia si attesta al 7° posto in classifica (su 25 Paesi analizzati) per “agricoltura sostenibile”, con un punteggio di 59,81 su un massimo di 100. Insomma, al momento il nostro Paese appare in una buona posizione in termini di impatto ambientale della sua produzione agricola. Tuttavia il futuro è segnato da ombre e interrogativi, soprattutto per quanto riguarda i contadini stessi. Chi produrrà il nostro cibo domani?
Questo l’interrogativo – e l’allerta – che lancia la Fondazione Barilla (BCFN) a ridosso della Giornata dell’Ambiente. BCFN lo fa analizzando uno dei parametri dell’Index, ossia il “Land-users”, che tiene conto di 3 fattori determinanti per il futuro del nostro sistema agricolo: il tasso di partecipazione femminile all’attività agricola; il tasso di partecipazione giovanile all’attività agricola; l’età media degli agricoltori. Questi 3 elementi sono indicatori utili a fotografare la capacità di innovare di un Paese. Come spiega la FAO, i giovani sono i primi portatori di innovazione, anche in questo ambito. Le nuove generazioni, grazie a studi mirati e supporti tecnologici, aprono nuove frontiere in agricoltura: dalla coltivazione senza terra, all’utilizzo di sistemi di ottimizzazione dell’uso delle acque e a macchine di precisione e droni per i controlli dei terreni. Qui, purtroppo, l’Italia si ferma ad un preoccupante 20° posto, dopo Brasile (82,68 su 100), dopo diverse economie emergenti ma anche dopo realtà economiche importanti come ad esempio Israele (5° con un punteggio di 58.85 su 100) o Australia (11° con 49.63 punti su 100). Per non restare indietro rispetto alle altre grandi economie del mondo è necessario ripensare l’agricoltura e per farlo c’è bisogno di giovani che portino innovazione, uso di nuove tecnologie e digitalizzazione al settore.
ITALIA: LUCI E OMBRE NEL SISTEMA AGRICOLO. OCCUPATI UNDER 30 A +12,7% MA PAC DA RIPENSARE
Se il Food Sustainability Index attesta come l’Italia debba concentrare i propri sforzi per migliorare la presenza di giovani e donne in agricoltura, i dati più recenti appaiono incoraggianti: fra settembre 2014 e 2015[3] il nostro Paese ha registrato oltre 35 mila (di questi 20 mila sono under 30) nuovi lavoratori del settore agricolo (+12,7%). Un dato che si spiega non solo con l’esigenza di trovare un lavoro, ma che indica – soprattutto – la scelta di vita e il bisogno di un vero e proprio ritorno “alla natura” per le nuove generazioni. Un dato in controtendenza rispetto al quinquennio 2008-2013, quando gli impiegati in agricoltura, con meno di 24 anni, erano diminuiti del 15%. Tuttavia, nonostante questa positiva inversione di tendenza, il posizionamento dell’Italia in rapporto ai principali Paesi europei è ancora modesto/basso…
Come indica un’indagine Nomisma del 2014, se mettiamo in rapporto, gli imprenditori agricoli con meno di 35 anni con quelli over 65, scopriremo che solo 14 giovani ogni 100 anziani si dedicano a questo mestiere, mentre in Francia lo stesso rapporto arriva al 73% e in Germania supera addirittura il 100% (134%)[4]. Questo dato pone l’accento su “rischio-innovazione” per il nostro Paese, in un settore che ha un forte impatto ambientale e che proprio nell’innovazione ha uno dei punti su cui investire maggiormente.
Marta Antonelli, Research Programme Manager della Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition, sostiene l’importanza del cambio generazionale in Europa e la necessità di supportarlo attraverso gli strumenti legislativi comunitari: “Dobbiamo costruire una Politica Agricola Comune (PAC) capace di modellare un sistema alimentare veramente equo, sano e sostenibile, mettendo in primo piano i giovani agricoltori in questo cambiamento. Per raggiungere questo obiettivo, la PAC deve essere modernizzata, deve integrare agricoltura e orientamenti nutrizionali più sani e più sostenibili, insieme alla sostenibilità economica e alla sicurezza alimentare. La PAC dovrebbe sostenere gli agricoltori nell’essere responsabili dell’approvvigionamento di alimenti sostenibili e sani a prezzi ragionevoli, mentre si prende cura dell’ambiente rurale. Proprio per questo, le considerazioni ambientali dovrebbero essere prioritarie nel processo decisionale, ad esempio attraverso il “Payment for eco system services”, che promuove anche la diversificazione dell’attività e la manutenzione di terreni attivi. Gli agricoltori dovrebbero essere quindi considerati non solo come produttori di cibo ma anche come custodi del nostro ambiente”.
DONNE E AGRICOLTURA: NEL MONDO, 1 AGRICOLTORE SU 2 È DONNA
Altro importante elemento analizzato dal parametro “Land-users” del Food Sustainability Index è la presenza delle donne in agricoltura. Si tratta di un elemento di rilievo se si pensa che, nel 2050, la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di persone e che occorrerà aumentare ulteriormente del 70% (stima FAO), la produzione agricola necessaria a sfamarla. Per questo, come spiegato dalla FAO[5], occorrerà una notevole forza lavoro, anche femminile. Secondo gli ultimi dati, le donne rappresentano il 43% della forza lavoro legata all’agricoltura e producono il 70% delle risorse alimentari disponibili (in Africa la percentuale sale all’80%). Insomma, senza di loro già oggi sarebbe difficile sfamarci. Eppure, come spiega Danielle Nierenberg, presidente di Food Tank e membro dell’Advisory Board di BCFN, “È fondamentale che alle donne venga riconosciuto il loro ruolo di “produttrici di ricchezza”, rafforzando soprattutto nelle zone rurali la rete dei servizi pubblici come salute, istruzione e servizi sociali. In molti Paesi la qualità della vita delle donne che lavorano nell’agricoltura è davvero bassa e questo può avere a lungo termine un impatto negativo sulla sostenibilità del modello”. Questo allarme non va sottovalutato, perché in termini assoluti, benché ci siano più uomini che donne nel settore, nelle società rurali sono ancora quest’ultime a dedicare più tempo alle coltivazioni di cui la famiglia si nutre e a ciò che realmente genera un profitto. All’origine dei fenomeni di discriminazione femminile in agricoltura vi sono elementi specifici sui quali è necessario intervenire. Le donne, ad esempio, non dispongono in molte parti del mondo della proprietà delle terre che lavorano o non hanno un diritto d’uso a lungo termine; hanno problemi di accesso al credito agricolo o accesso alle informazioni meteo e climatiche che, di fatto, le espone maggiormente ai rischi connessi proprio ai cambiamenti climatici[6]. Eppure, superare tali discriminazioni contribuirebbe fortemente anche a risolvere il problema della disoccupazione femminile. I temi del lavoro femminile, dei cambiamenti climatici e della produzione di cibo in grado di rispondere alla crescita demografica del pianeta appaiono oggi ancora di maggiore attualità alla luce del recente G7 e di quanto emerso in merito alla possibile rinegoziazione degli accordi di Parigi da parte degli USA. Per colpa del cambiamento climatico ci troviamo di fronte ad una gravissima siccità che sta devastando i raccolti e decimando le scorte d’acqua: 13 milioni di persone sono già sull’orlo della carestia. Ecco che appare allora necessario proseguire sulla strada tracciata a Parigi, evitando così di alimentare da una parte il cambiamento climatico, e dall’altra puntare su giovani e donne, per innovare il settore agricolo e limitare l’impatto che le nostre scelte alimentari hanno sui cambiamenti climatici.
FENOMENO ORTI URBANI: CRESCONO AL NORD. +27,3% SUPERFICI URBANE DESTINATE A COLTIVAZIONE
Sempre in tema di aree verdi, sono 42 le amministrazioni che hanno piantato un albero per ogni nuovo nato, applicando la legge 10/2013 che stabilisce l’obbligo per i comuni con più di 15mila abitanti. Nel 2014 erano state 31. Nella stessa direzione vanno le assegnazioni della manutenzione di aree verdi (a titolo gratuito o in forma di “baratto amministrativo”) ad associazioni o cittadini. Ad attuarlo sono 30 amministrazioni: il 71,4% di quelle che hanno promosso iniziative per lo sviluppo o la manutenzione di queste aree.
FOOD SUSTAINABILITY REPORT, NUOVO STRUMENTO PER PARLARE DI CIBO E IMPATTO AMBIENTALE
Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN) e Milan Center for Food Law and Policy lanciano il Food Sustainability Report, uno strumento per promuovere e diffondere la conoscenza delle complesse tematiche relative al cibo al fine di sensibilizzare governi, istituzioni e opinione pubblica sull’urgenza di agire per rendere il sistema alimentare globale realmente sostenibile.
Nel primo numero, fra i temi analizzati, si parla anche di difesa della “biodiversità”. In particolare l’attenzione è dedicata al progetto comunitario “Natura 2000”. Si tratta di una Rete ecologia diffusa in circa 1/5 del territorio UE e istituita per garantire il mantenimento a lungo termine di circa mille tra habitat naturali, specie animali e vegetali, che sono minacciati.
Il Report è un documento trimestrale che nasce dalla costante analisi di notizie e documenti su cibo e sostenibilità diffusi online dalle principali fonti in lingua anglosassone, tra cui siti di informazione, organismi governativi, agenzie internazionali, organizzazioni non governative e istituti di ricerca. Fotografa la dimensione, i contenuti prevalenti e le tendenze della ricerca, della legislazione e delle azioni concrete in atto, attraverso dati sul volume di informazioni diffuse, analisi semantiche sui temi al centro dell’attenzione, segnalazioni di notizie, documenti e ricerche da leggere, tenere in considerazione e portare in evidenza. Il Report rappresenta, insomma, un ausilio agli addetti ai lavori per orientarsi nell’enorme flusso di informazioni riguardanti il cibo ed i suoi impatti in termini sociali, economici, ambientali al fine di comprendere come e quanto queste dinamiche vadano ad impattare sulla nostra quotidianità e sugli equilibri che caratterizzano il complesso sistema della produzione alimentare.
Il primo numero è disponibile e consultabile online all’indirizzo www.foodsustainabilityreport.org mentre il secondo numero del report sarà disponibile a partire da metà luglio.
[1] https://www.epa.gov/ghgemissions/global-greenhouse-gas-emissions-data
[2] Indice realizzato da Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) e The Economist Intelligence Unit e che rappresentano oltre i 2/3 della popolazione mondiale e l’87% del PIL globale –
[3] https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/9777
[4] indagine Nomisma “Giovani in agricoltura, risorse per il Paese. Prospettive, politiche e opportunità”, 2014, http://www.largoconsumo.info/052015/DOCAgricolturaIndagineNomisma05-15.pdf
[5] “The role of women in agriculture”, FAO 2011
[7] “Report Ambiente Urbano”, Istat 2015