L’undicesima Tappa del Giro d’Italia partirà da Ponte a Ema, piccolo centro toscano che si snoda ai piedi della collina Fattucchia, lungo la via Chiantigiana, città natale della leggenda del ciclismo Gino Bartali. Proprio in questa città, dove il grande ciclista aveva iniziato la sua carriera agonistica, sorge il Museo del Ciclismo Gino Bartali; una struttura sviluppata su tre piani per un totale di oltre 1000 mq, con velopedi, maglie, cimeli, giornali d’epoca, pubblicazioni e filmati volti a documentare la storia del ciclismo, le imprese di Bartali e dei suoi compagni. Gino Bartali, detto “il Ginettaccio” per quel suo carattere un po’ spigoloso, era un toscano dalla lingua sferzante e dal cuore grande.
Al suo tempo i campioni del ciclismo erano, agli occhi del popolo, sogni da inseguire, pedalando nelle strade dissestate di mezza Europa; miti da emulare; una specie di semidei…e Bartali era un fenomeno. Burbero e schivo, è stato un campione non solo sulla strada. Il suo nome, dopo la Medaglia d’oro al valore civile, assegnatagli nel 2006 dal presidente della Repubblica Ciampi, è iscritto fra i Giusti delle Nazioni allo Yad Vashem, il Sacrario della Memoria a Gerusalemme. Conosciamolo meglio. Classe 1914, nato il 18 luglio a Ponte a Ema, in provincia di Firenze, figlio di Torello, sterratore che accendeva i lampioni a gas, e di Giulia, che lavorava la ragia, sotterrato da piccolo, per gioco, sotto la neve dai compagni, ricavandone la voce roca che l’avrebbe caratterizzato per tutta la vita, a 12 anni interruppe gli studi e a 14 iniziò a lavorare, per tre giorni a settimana, in un’officina di bici. Nel 1931 esordì nella categoria allievi con la squadra di casa, la Società Sportiva Aquila di Ponte a Ema: partecipò a 8 corse e ne vinse 3. Nel 1932 vinse 8 delle 20 gare cui prese parte.
Divenne dilettante nel 1933, esordendo, invece, tra i professionisti, alla Milano/Sanremo del 19 marzo 1935, 21enne, come indipendente, senza una casa ciclistica che lo sponsorizzasse. Per raccontare Bartali bisogna partire dalle sue vittorie: Giro nel 1936, 1937 e 1946, con sette acuti di tappa; il Tour de France per due anni (1938 e 1948), con 12 successi di giornata, la Milano/Sanremo per 4 edizioni e i tre Giri di Lombardia. La prima volta ha alzato le braccia sul traguardo alla Portocivitanova-L’Aquila nella rosa del 1935, ha chiuso con un un lampo al Giro di Toscana 1950.Con lui lo sport equivaleva a sforzo, sudore, lealtà, con foto color seppia e gente urlante a bordi delle strade mentre si affrontava, a colpi di pedalata, col suo rivale di sempre, Fausto Coppi.
Ma Ginettaccio, che si ripeteva, un giorno si e l’altro pure “Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare”( ritornello, questo, che si è portato dietro da osservatore tecnico e appassionato di ciclismo), ha un altro lato del carattere che pochi conoscono. Gino, difatti, nascose la famiglia Goldenberg a Firenze, pedalò da Assisi a Terontol,a a Firenze, a Camaiore, a Genova con falsi documenti d’intentità nei ttubi e nel manubrio della bici; Gino salvò la vita a centinaia di Ebrei, sottraendoli a rastrellamenti e deportazioni.Un Bartali non agonistico ma umanitario, non brontolone ma silenzioso, non fuoriclasse ma fuorilegge. Un Bartali cattolico praticante, membro dell’Azione cattolica, devoto alla Madonna al punto da deporre il suo bouquet da vincitore davanti alla sua stata a Notre Dame.
Bartali, nell’autunno 1943, venne convocato dall’Arcivescono di Firenze, il Cardinale Elia Dalla Costa, nella sede dell’Arcivescovado, proponendogli di diventare il postino segreto dell’organizzazione clandestina di soccorso dei profughi ebrei. Gli chiede di andare periodicamente, in bici, fino ad Assisi, nascondendo nella canna, foto e documenti dei rifugiati che avrebbe dovuto consegnare a Padre Rufino Niccacci, per essere, poi, trasformai in carte d’identità false nella tipografia dei Brizi.Tutti avrebbero pensato che si stesse allenando e a nessuno sarebbe mai saltato in mente di controllarlo. Bartali mantenne il segreto persino con sua moglie, cominciando con insistenza a scegliere come percorso d’allenamento Firenze/Assisi, infilando abilmente le foto dei rifugiati ebrei, ben arrotolate, nel tubo del sellino, nella canna o nel manubrio della sua bici da corsa. Per essere sempre riconoscibile, indossava una maglia con scritto “Gino Bartali” sul davanti e dietro l’indumento.
E se si imbatteva in qualche blocco di polizia fascista, riusciva abilmente a non tradire la minima emozione, facendo il compagnone con i soldati più giovani, firmando autografi e lanciando battute con sempre pronta una strategia d’uscita: “Scusate ma non posso fermarmi perché sono troppo sudato” o “Devo andare al più presto al meccanico perché mi si sta sgonfiando la gomma”ecc.Campione immenso, stella che brilla per altruismo e umanità, sui pedali e nella vita, Bartali è un eroe, un giusto, non uomo che non amava far sapere delle sue gesta perché secondo lui “il bene si fa ma non si dice”. Nell’autunno del 43 venne persino arrestato dalla polizia fascista. A Firenze c’era il temutissimo comandante Mario Carità, crudele e spietato, ma nessuno ispezionò la sua bici… “dimenticanza” grazie alla quale il campione si salvò. Scomparso a 86 anni per un attacco di cuore presso la sua casa di Firenze il 5 maggio del 2000, ora starà correndo in cielo, da una nuvola all’altra, come faceva quando pedalava sulla terra.