Tumori, Veronesi rockstar: a “Ieo per le donne” i ricordi delle sue battaglie

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“Umberto Veronesi era una rockstar. In aeroporto la gente si avvicinava a chiedergli foto, baci, autografi. E lui ricambiava. Distribuiva pani, pesci e bagagli a mano”. È il racconto divertito dell’attrice Lella Costa, il suo personale ricordo di un viaggio fatto con l’oncologo da Milano a Teramo e ritorno, per un’iniziativa dedicata agli screening per le detenute. L’occasione per il flashback è di quelle speciali: ‘Ieo per le donne’, la giornata voluta dallo scienziato 10 anni fa per ascoltare le sue pazienti. E da allora ogni anno in mille da tutta Italia si ritrovano a Milano per partecipare a un vero e proprio rito.

Quest’anno la giornata si è aperta con un tributo all’oncologo, morto l’8 novembre 2016 vicino ai 91 anni, e con un lungo applauso scattato al termine di un video in cui lo scienziato stesso spiegava la sua filosofia di “medico vicino ai pazienti”. “Bisogna trattarli con amore”, diceva Veronesi. “Il paziente bisogna amarlo. Anche quando lo si incontra in un corridoio di fretta, bisogna fermarsi ad ascoltarlo. La capacità di ascolto è la più importante regola nel rapporto col paziente. Si perde un po’ di tempo, ma di tempo ne abbiamo”.

Questa “l’eredità più grande. La medicina narrativa, la necessità e la forza di raccontare la malattia”, ricorda il figlio Paolo Veronesi, direttore della Chirurgia senologia Ieo. Il “prof 2, la vendetta”, lo chiama Lella Costa per introdurlo sul palco. E lui ricorda “l’amore per la sfida” del padre. “Fin da ragazzo”, dice mostrando una foto che lo ritrae ai tempi in cui da giovane arrivò secondo ai campionati italiani di canottaggio. “Mio padre amava la montagna, sciava, arrampicava. Non per arrivare primo. Era una sfida con se stesso. Si sottoponeva a digiuni prolungati per vedere dove riusciva ad arrivare con la sua volontà. Ed è arrivato lontano”.

Paolo racconta dell’approdo di Veronesi all’Istituto nazionale tumori. “Erano gli anni ’50 e c’era tanta rassegnazione. Lui ha messo in dubbio tutto quello che si dava per scontato: la sofferenza dei malati, il dover morire di cancro, l’asportazione totale dell’organo malato. Poi la sua tecnica conservativa della quadrantectomia si è guadagnata nel 1981 le pagine del ‘New England Journal of Medicine’, finì anche sul ‘New York Times’ e cambiò la storia dei tumori in generale, e al seno in particolare”. La spinta per la quadrantectomia, è stato ricordato oggi, arrivò da una giovane paziente che stava per sposarsi e aveva confidato all’oncologo che senza seno avrebbe preferito morire. Per Veronesi, spiega il figlio Paolo, l’aspetto umano era fondamentale.

Lo ricorderemo sempre ascoltare, toccare, accarezzare il paziente con le sue mani grandissime. Quando negli anni ’80 veniva intervistato parlava di 20 anni ancora per sconfiggere il cancro. Ne sono passati 30, 40 e il cancro è ancora lì. Ha perso la guerra e questo l’ha deluso. Ma ha vinto tante battaglie: contro i pregiudizi, e oggi siamo qui a parlare della malattia; per la qualità della vita; contro il dolore“. Il modo in cui la sua visione è stata declinata nell’Istituto da lui fondato, l’Ieo, lo racconta Roberto Orecchia, che oggi siede nella poltrona di direttore scientifico che fu sua.

“Veronesi era convinto che ascoltare ‘scientificamente’ la voce dei pazienti può cambiare le cose. Da qui è nato per esempio l’obiettivo ‘Cure a danno zero'”. Oggi le mastectomie “sono una quota ridotta rispetto agli interventi conservativi – precisa – lo sviluppo della radioterapia intraoperatoria è stato rivoluzionario perché permette alle pazienti di uscire già dalla sala operatoria con una dose piena che le evita le 6 settimane post chirurgia. Si è lavorato anche sui cicli esterni di radio per ridurne la durata”. Sul palco di Ieo per le donne si sono alternate le voci di donne: pazienti dell’Istituto; attrici come Monica Guerritore, che non ha mai nascosto la sua malattia ed è sempre stata in prima linea, al fianco di Umberto Veronesi, nella sensibilizzazione.

E ancora la discografica Mara Maionchi che dell’oncologo racconta: “Quando ci vedevamo mi metteva la mano sul collo. ‘Per vedere se sento una ghiandolina’, diceva. Era il suo unico difetto”. I medici del suo Istituto, che lo hanno affiancato per anni, hanno testimoniato invece i passi avanti: l’Ieo 2 e i 1.200 interventi l’anno svolti in Day surgery, una strategia che permette di ridurre il peso di restare in ospedale lontani da casa; le ultime frontiere della ricostruzione del seno, per esempio utilizzando solo il tessuto adiposo con la tecnica ‘Liposculpture’; l’impegno per migliorare la diagnostica con strumenti sempre più precisi e sofisticati; la ricerca della minima tossicità e l’attenzione ad aspetti importanti per i pazienti come la perdita dei capelli, con un farmaco a minore impatto e il caschetto da indossare durante l’infusione chemioterapica; e infine la prevenzione e l’uso dei test genetici come orientamento per la scelta della terapia per la paziente e per la prevenzione della sua famiglia.

Per le donne ad alto rischio, evidenzia la direttrice di Senologia molecolare Viviana Galimberti parlando dell’esperienza dell’Ieo Women’s Cancer Center, “il nostro compito è riuscire a far decidere loro un percorso, con consapevolezza ed evitando scelte dettate dalla paura”. Oggi, conclude Paolo Veronesi, “se un cancro al seno è diagnosticato in stadio iniziale e viene trattato in un centro specializzato, ha una guaribilità del 90% e può addirittura essere rimosso in un giorno, senza neppure una notte di ricovero. Se tutte le donne potessero conoscere e seguire le raccomandazioni di prevenzione e tutti gli ospedali potessero applicare le tecnologie e le metodiche d’avanguardia, questo tumore sarebbe una malattia lieve”. Non è ancora così sempre, ma “la strada è tracciata”.

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