Militari e tumori: di uranio impoverito si continua a morire e arriva il primo “miracolo giuridico”

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La controversa questione dell’uranio impoverito continua ad essere un tema caldo in Italia. A causa delle conseguenze dovute al contatto con l’uranio impoverito continuano ad ammalarsi e a morire militari del nostro esercito, e anche i loro figli. Ed è da anni che in Italia si combattono battaglie giuridiche per vedere riconosciuti i diritti dei militari che si sono ammalati, e in molti casi sono morti, senza che nessuno di prendesse la responsabilità dell’accaduto.

Per la prima volta dal 1994 la Corte dei conti centrale d’appello ha accolto una causa sull’uranio impoverito. Si tratta di un vero e proprio “miracolo giuridico”, giunto a seguito di appello proposto dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, che da tempo si occupa del delicato argomento. Come si legge sul sito Osservatoriomilitare.it “Un altro nervo scoperto del giudizio pensionistico innanzi alla Corte dei conti riguarda questa volta il giudizio di secondo grado ed è rappresentato dalla limitazione dell’appello ai motivi di diritto“.

L’art. 1, quinto comma, del decreto-legge n. 453 del 1993 convertito nella legge n. 19 del 1994 e modificato dal decreto-legge n. 543 del 1996, convertito nella legge n. 639 del 1996, dispone che “nei giudizi in materia di pensioni, l’appello è consentito per soli motivi di diritto; costituiscono questioni di fatto quelle relative alla dipendenza di infermità, lesioni o morte da causa di servizio o di guerra e quelle relative alla classifica o all’aggravamento di infermità o lesioni“. Il quadro normativo necessita di essere precisato in relazione ad alcuni passaggi interpretativi sui quali è intervenuta l’opera chiarificatrice della giurisprudenza.

Superando un iniziale orientamento estensivo, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con la sentenza n. 24 ottobre 2000 n. 10/QM, facendo leva sulla interpretazione della norma che limita la possibilità di ricorrere in appello in materia pensionistica alle sole quaestiones juris, hanno affermato i seguenti principi di diritto, articolandoli in quattro diverse proposizioni:

a) “l’appello in materia pensionistica è limitato ai motivi di diritto e deve, perciò, investire la portata dispositiva di una norma giuridica o/e il suo ambito applicativo a fattispecie astratte,dalle quali consegue in via immediata la regola di diritto applicabile alla fattispecie concreta”;

b) “rientrano nei motivi di diritto i vizi che comportino la nullità della sentenza o del processo,trattandosi di violazione di regole giuridiche”;

c) “il vizio di difetto di motivazione su questioni di fatto è deducibile in appello soltanto ove la sentenza impugnata manchi in modo assoluto di motivazione o abbia motivazione apparente”;

d) “le questioni medico-legali relative alla dipendenza, classifica e aggravamenti di infermità,indipendentemente dalla loro natura, sono state espressamente parificate dal legislatore a questioni di fatto. Esse possono, pertanto, essere dedotte in appello esclusivamente nei limiti di cui al punto c)”.

La novità sta nel fatto che la Corte dei Conti Centrale d’appello ha ritenuto che “dalle documentazioni agli atti di causa risultino indizi gravi, precisi e concordanti per una correlazione cancausale del servizio svolto dal militare e l’insorgenza della patologia tumorale, l’esposizione all’uranio impoverito quale fattore cancerogeno e eziopatologicamente comportante malattie neoplastiche e sia per le vaccinazioni subìte causa dell’alterazione del sistema immunitario, tali da favorire lo sviluppo cronico di neoplasie a carico del sistema linfopoietico. La tesi probabilistica e della concausalità postula anche che minimamente può incidere sullo sviluppo delle patologie tumorali la durata dell’esposizione ai fattori inquinanti, perché possono bastare minimi contatti per consolidarsi nel corpo e permanervi nel tempo, di sostanze cancerogene”.

Un grande passo avanti, dunque, in tema di tumori e neoplasie correlati al contatto con l’uranio impoverito. Per anni militari in servizio ed ex militari hanno visto negati i propri diritti, anche in casi evidenti di malattie dovute al contatto con il pericoloso materiale, sia in missione all’estero che in Italia, utilizzato nelle munizioni anticarro e nelle corazzature di alcuni sistemi d’arma.

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