Tumori: sopravvivenza più alta grazie alle reti oncologiche

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Nelle Regioni che hanno realizzato pienamente le reti oncologiche i pazienti colpiti dal cancro guariscono di più rispetto al resto d’Italia. In particolare in Toscana la sopravvivenza a cinque anni raggiunge il 56% fra gli uomini e il 65% fra le donne, in Veneto il 55% (uomini) e il 64% (donne) e in Piemonte il 53% (uomini) e il 63% (donne). Solo altre 3 le regioni italiane hanno attivato questi network: Lombardia, Trentino e Umbria. I vantaggi delle reti sono chiari: i pazienti possono accedere alle cure migliori senza spostarsi dal proprio domicilio con una uniformità di trattamenti sul territorio ed evidenti risparmi per il sistema. Gli ospedali vengono utilizzati solo per le terapie più complesse e le liste di attesa possono essere ridotte fino al 50%. Alle Reti Oncologiche è dedicato un convegno nazionale oggi a Roma organizzato da “Periplo”, associazione che riunisce i più importanti oncologi italiani. “È necessario però evitare che i percorsi assistenziali obbediscano solo a logiche di tipo amministrativo e gestionale, penalizzando o minimizzando la qualità dell’assistenza – spiega il prof. Pier Franco Conte, Presidente di ‘Periplo’, Coordinatore Tecnico-Scientifico della Rete Oncologica Veneta e Direttore Oncologia Medica 2 allo IOV (Istituto Oncologico Veneto) di Padova –. Un altro rischio concreto è che le Reti elaborino percorsi assistenziali disomogenei fra le varie Regioni. La vera sfida è saper coniugare umanizzazione, innovazione e sostenibilità”. L’adozione dei percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali (PDTA) rappresenta, oggi, uno strumento chiave per favorire l’allineamento migliore tra cosa si dovrebbe fare e come viene fatto in ciascun contesto territoriale. “Si tratta anche dello strumento migliore per rendere esplicita la coincidenza tra le competenze necessarie e le fasi del processo di cura e, di conseguenza, l’appropriatezza degli interventi previsti – sottolinea il prof. Francesco Cognetti, Direttore Oncologia Medica 1 dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma e Presidente della Fondazione ‘Insieme Contro il Cancro” -. L’elaborazione di PDTA condivisi e la loro applicazione nell’ambito di reti assistenziali codificate rappresentano una concreta risposta al difficile equilibrio fra innovazione e sostenibilità. E’ però fondamentale che questo processo non sia ‘subito’ dai clinici e dai pazienti che anzi dovrebbero rappresentare gli attori di questi cambiamenti”. Pur tenendo conto delle specificità di ciascuna soluzione regionale, è opportuno offrire uno schema generale per orientare le scelte dei singoli sistemi territoriali e orientare l’azione di fronte ai continui riassetti e assestamenti organizzativi. “La scelta del modello deve ovviamente tenere conto della realtà in cui deve operare e della dimensione della struttura – afferma il prof. Gianni Amunni, Vice presidente di ‘Periplo’ e Direttore Generale ISPO (Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica) –. Se infatti la multidisciplinarietà costituisce il fulcro dell’attività oncologica, è scarsamente ipotizzabile che strutture di piccole dimensioni possano attivare gruppi multidisciplinari per ogni singola patologia mentre in strutture di più ampie dimensioni vi potranno essere oncologi medici dedicati esclusivamente alla gestione di una patologia. Un sistema di accessi diffusi nel territorio consente al cittadino di entrare nei percorsi di cura direttamente nel proprio luogo di residenza e di disporre di una valutazione multidisciplinare. Questo sistema ha consentito di raggiungere risultati importanti in termini di qualità dell’assistenza in Toscana”. L’Oncologia si caratterizza come una disciplina che presenta particolari caratteristiche in termini assistenziali: una parte è di tipo territoriale, una ha carattere ospedaliero e una contiene un’area importante di ricerca. “Coordinando ed integrando la fase di diagnosi precoce – sottolinea il prof. Oscar Bertetto, segretario di ‘Periplo’ e Direttore del Dipartimento Interaziendale Interregionale Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta presso la Città della Salute e della Scienza di Torino – si avranno meno ammalati in stadio avanzato; riorganizzando la fase di cura, comprendendo anche la possibilità di assistenza a domicilio sotto controllo specialistico oncologico con l’utilizzo dei farmaci innovativi, si decongestionerà l’accesso alle cure in ospedale nel cui contesto dovrà essere prevista una scala gerarchica di prestazioni in base alla complessità del caso trattato. L’ipotesi più percorribile è quella di una strutturazione a rete con Comprehensive Cancer Center organizzati per gruppi di patologia e coordinati dall’Oncologia Medica, tra loro interconnessi e con competenze complementari cui facciano riferimento anche strutture di Oncologia Medica più periferiche che, organizzate con percorsi multidisciplinari, afferiscano ai gruppi di patologia del Comprehensive Cancer Center”. Questa ipotesi, definibile come Comprehensive Cancer Network, consentirebbe una gestione del percorso uniforme, una centralizzazione delle procedure complesse e la possibilità di portare le competenze in periferia attraverso anche lo spostamento dei professionisti sulla base dei percorsi definiti dai PDTA limitando così lo spostamento dei pazienti.

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