Tumori: test per cure su misura contro il linfoma, lo studio è italiano

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La ricerca italiana traccia la strada per un trattamento personalizzato dei linfomi, fin dal momento della diagnosi. Uno studio pubblicato su ‘Nature’ da un gruppo di scienziati dell’Istituto Firc di oncologia molecolare (Ifom) di Milano, sostenuto dalla Fondazione Armenise-Harvard e dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), indica l’opportunità di monitorare con un semplice test di laboratorio l’espressione di un ‘interruttore’ presente sulle cellule tumorali – il recettore Bcr (B cell receptor) – per non rischiare di somministrare ai pazienti farmaci che in alcuni malati potrebbero avere un effetto opposto rispetto a quello desiderato. In generale, il lavoro spiega la complessità dei linfomi e suggerisce come migliorare le attuali terapie contro i diversi tumori del sangue, attraverso combinazioni ad hoc di più medicinali.

I linfomi – ricordano gli autori – colpiscono comunemente uno dei principali attori del sistema immunitario, i linfociti B. Reclutati per difenderci dall’attacco di nemici come virus e batteri, questi ‘soldati’ riconoscono gli intrusi catturandoli grazie ai recettori Bcr esposti sulla loro superficie; l’intercettazione dei patogeni da parte del Bcr stimola i linfociti a proliferare e a neutralizzare l’agente infettivo. Mentre proliferano in risposta a un virus o batterio, i linfociti B acquisiscono mutazioni benigne a carico dei geni del Bcr, necessarie a migliorare l’efficienza nel legare e distruggere il patogeno. Un processo che tuttavia non è scevro da errori, e che può causare mutazioni in geni diversi dal Bcr, che occasionalmente provocano l’insorgenza di linfomi o leucemie.

In queste forme tumorali, Bcr rimane espresso sulla superficie dei linfociti B malati, favorendone la crescita. Ciò ha reso il Bcr un bersaglio della terapia di diverse forme di linfoma non-Hodgkin, nonché della leucemia linfatica cronica, la più comune nell’adulto. Ora però lo studio del team di Stefano Casola, medico ricercatore direttore del programma Immunologia molecolare e biologia dei linfomi dell’Ifom, rientrato in Italia grazie al supporto della Fondazione Armenise-Harvard, mette in guardia dai potenziali rischi di terapie anti-Bcr, svelando allo stesso tempo strategie per renderle più efficaci. Studiando in topi di laboratorio il linfoma di Burkitt, una forma aggressiva di linfoma non-Hodgkin, i ricercatori hanno notato che cellule tumorali private del Bcr continuavano sorprendentemente a crescere. Viceversa, soccombevano rapidamente quando conservavano il Bcr. Grazie alla collaborazione con Fabio Facchetti dell’università di Brescia e Maurilio Ponzoni dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, si è rapidamente passati dagli animali all’analisi di campioni umani di linfoma di Burkitt.

“I risultati osservati nei topi di laboratorio ci hanno entusiasmato e spronato immediatamente a verificare l’esistenza di un meccanismo analogo nei corrispondenti linfomi umani – riferisce Ponzoni – e questo nonostante i risultati non fossero del tutto in linea con quanto finora universalmente accettato”. Aggiunge Facchetti: “Analizzando un’ampia casistica di biopsie di linfoma di Burkitt rigorosamente selezionata con test genetico-molecolari, e utilizzando metodiche di morfologia molecolare a multipli marcatori, è stato possibile dimostrare che una parte di questi tumori non esprimono il Bcr, talora nella larga maggioranza delle cellule linfomatose, in altri casi in una frazione“.

Forte di queste osservazioni, Casola offre spunti di riflessione per nuove prospettive terapeutiche agli oncologi: “Mentre i farmaci anti-Bcr inibiscono la maggioranza della popolazione tumorale di linfomi e leucemie che esprimono il recettore“, avverte, gli stessi medicinali “rischiano paradossalmente di favorire la crescita di rare cellule tumorali prive del Bcr, che a loro volta possono rendersi responsabili di una possibile ripresa della malattia”. Il lavoro italiano fornisce indicazioni su come sia possibile evitare questo scenario. “Grazie a studi in topi di laboratorio – chiarisce Casola – abbiamo identificato un ‘tallone di Achille’ delle cellule di linfoma prive del Bcr. Abbiamo scoperto cioè che queste cellule sono particolarmente sensibili a stress nutrizionali, e questo le rende bersagli preferenziali di farmaci quali la rapamicina”.

I risultati della ricerca, se confermati in studi clinici prospettici, “potrebbero portare alla revisione delle attuali procedure diagnostiche e terapeutiche di pazienti affetti da linfomi e leucemie a cellule B – concludono gli autori – Infatti, combinando un semplice test di laboratorio ad analisi istologiche su materiale ottenuto da biopsia o da un esame del sangue, si potrebbe monitorare lo stato del Bcr nella popolazione delle cellule tumorali”. Per Casola, “queste informazioni potrebbero aiutare l’oncologo a progettare terapie personalizzate in cui a inibitori farmacologici del Bcr possano eventualmente essere abbinati farmaci quali la rapamicina per combattere la complessità e l’eterogeneità del tumore”.

 
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