E’ preoccupato il mondo accademico britannico per le incognite della Brexit, in particolare i numerosi ricercatori e studiosi italiani che vivono e operano nel Regno Unito. Credono ancora che possa essere trovata una via per salvaguardare il successo di questo modello, in un ambito più amplio di cooperazione, interscambio e capacita’ d’attrazione che ha contribuito ad assicurare posizioni di eccellenza agli atenei d’oltremanica. E’ quanto e’ emerso oggi dai lavori di una conferenza ospitata al King’s College di Londra per iniziativa dell’ambasciata italiana e dell’Aisuk, l’Association of Italian Scientists in the UK, che dal 2015 rappresenta parte di una realta’ di oltre 5000 scienziati e accademici approdati sull’isola dal nostro Paese.
L’iniziativa e’ stata aperta dall’ambasciatore Pasquale Terracciano, e seguita fra gli altri da interventi dei presidenti del Cnr, Massimo Inguscio, dell’Aisuk, Antonio Guarino, e dell’Italian Medical Society in Great Britain, Sergio Bonini, nonche’ di accademici, diplomatici e ‘policy maker’. In effetti la Brexit puo’ anche rivelarsi “un’occasione per l’Italia”, come il professor Inguscio ha sottolineato all’ANSA. Non tanto nella chiave di un ipotetico controesodo di massa dei cosiddetti ‘cervelli in fuga’, a cui il numero uno del Consiglio nazionale delle ricerche non crede, almeno non in tempi brevi. Quanto piuttosto come un’opportunita’ per “lanciare ponti di dialogo” attraverso quei progetti per la “valorizzazione dei talenti e lo sviluppo di infrastrutture” su cui il Pnr (piano nazionale per la ricerca) ha gia’ delineato degli investimenti.
E semmai – spiega – per “imitare l’esempio britannico sul fronte della capacita’ di attirare e reclutare cervelli stranieri, terreno nel quale la Penisola resta per ora indietro.” Fra gli elementi chiave della presenza accademica italiana nel Regno Unito, a Londra è evidenziato come essa “attraversi tutte le discipline delle scienze fisiche, a quelle ingegneristiche, biomediche, sociali o umane.”
Un fenomeno “tutt’altro che causale”, e’ stato notato, “sostenuto da precisi criteri di valutazione meritocratica, e da disponibilità di risorse ai progetti migliori che il modello ‘british’ ha garantito fino ad ora senza porre barriere.” Il timore d’una parte del mondo accademico del Regno, raccolto dai partecipanti italiani al convegno odierno (a margine del quale sono stati consegnati i riconoscimenti del premio ‘ItalyMadeMe’, a cura dell’ufficio dell’addetto scientifico dell’ambasciata), è che la Brexit possa peraltro mettere in qualche modo a repentaglio tutto questo e scoraggiare la comunità scientifica nazionale e internazionale.
Mentre – concludono – va ancora risolto il tema dei futuri diritti dei ricercatori, come degli altri cittadini europei che contribuiscono al benessere e al prestigio della Gran Bretagna, e delle loro famiglie. Di qui l’auspicio d’un accordo quanto meno ragionevole e coordinato sul percorso di sganciamento di Londra da Bruxelles. In modo da far si’ che davvero il Regno, come dicono di volere i suoi stessi governanti, “lasci l’Ue, ma non l’Europa” di qui a due anni. D’altronde, ha chiosato Inguscio, se “si e’ fatta scienza in passato malgrado la cortina di ferro”, si potra’ ben trovare il modo di lasciare aperte le porte pure con la Brexit. Le porte dell’incontro e di “una competizione amichevole”.