Dieci anni dopo l’introduzione di una terapia per la malattia di Pompe, il bilancio sui pazienti “non può che essere positivo”. Lo afferma l’Osservatorio malattie rare (Omar), ricordando che dal 2007 i malati di Pompe possono essere trattati con la terapia enzimatica sostitutiva (Ert) a base di alfa glucosidasi ricombinante, al momento l’unico trattamento disponibile, da assumere ogni 15 giorni per via endovenosa in contesto ambulatoriale. E negli ultimi anni proprio l’esistenza di una cura ha aumentato la conoscenza della patologia: ora il sospetto di malattia di Pompe è più frequente e la diagnosi consente una terapia più tempestiva, anche se in Italia il ritardo diagnostico medio è ancora di 5-7 anni, sottolinea Omar. La malattia di Pompe (o glicogenosi di tipo II) è una patologia neuromuscolare rara, cronica e debilitante, spesso mortale, che colpisce circa 10 mila persone nel mondo e circa 300 stimate in Italia. “Il panorama per quanto riguarda l’accesso alla terapia è confortante: se la diagnosi è tempestiva, la terapia funziona molto bene nei neonati, ma anche negli adolescenti e negli adulti. Se la risposta si attenua nel tempo, la loro condizione è pur sempre migliore di quella dei pazienti non trattati”, spiega Antonio Toscano, responsabile del Centro regionale di riferimento per le malattie neuromuscolari rare del Policlinico G. Martino di Messina. “Prima del 2007 i bambini affetti morivano entro qualche mese, al massimo un anno – ricorda l’esperto – Ora, se trattati precocemente, possono vivere anche fino ai 18 anni. Nell’ultimo decennio circa il 50% dei bambini trattati è sopravvissuto, pur con diverse difficoltà nella deambulazione e nella respirazione. Sicuramente fra altri 10 anni occorrerà fare un nuovo bilancio, ma ad oggi il risultato terapeutico è senz’altro incoraggiante e la comunità medica italiana ha dato peraltro un importante contributo”. Ma anche in ambito tecnologico dall’Italia è arrivato un valido strumento per i pazienti: AIGkit, la prima App per le persone affette da malattia di Pompe, nata dalla collaborazione fra l’Associazione italiana glicogenosi (Aig) e l’Associazione italiana di miologia (Aim). Si tratta di “un software che permette ai pazienti di registrare i dati relativi alla loro Salute e di mettersi in contatto con gli specialisti, che potranno a loro volta verificare in tempo reale informazioni cliniche sul decorso della malattia”, riferisce Gabriele Siciliano, presidente Aim. Tra le diverse funzioni di AIGkit il calendario delle infusioni, la possibilità di inserire i numeri di emergenza, una sezione dedicata all’allenamento fisico e uno spazio in cui trovare tutorial e news. Nonostante il bilancio sia quindi “positivo”, i clinici italiani puntano a migliorare ancora. Innanzitutto con lo screening neonatale per la malattia di Pompe, per il quale esiste già un progetto pilota in Toscana e Veneto. “Anche in Piemonte è pronto un progetto ben definito, grazie alla collaborazione con i pediatri specialisti in malattie metaboliche e con i neuropsichiatri infantili – evidenzia Tiziana Enrica Mongini, responsabile della Struttura semplice malattie neuromuscolari, Scdu Neurologia 1 della Aou Città della Salute e della scienza di Torino – Questo ci permetterà di gestire al meglio la differenziazione tra i casi gravi infantili e quelli più lievi a esordio tardivo”. Un’altra speranza è riposta nella terapia enzimatica sostitutiva. “L’infusione domiciliare è un problema a livello nazionale: solo in alcune regioni come il Veneto è stata tentata una sperimentazione domiciliare, ma in altre questo non è possibile. Eppure in Olanda è una pratica di routine”, conclude Mongini.
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Malattie rare, Omar: bilancio positivo dopo 10 anni di cura per la malattia di Pompe
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