Cellule cerebrali di maiale impiantate nel cervello umano per alleviare i sintomi del Parkinson e frenare la progressione della malattia neurodegenerativa. E’ l’approccio sviluppato da Living Cell Techonologies, una società neozelandese con base ad Auckland. Per ora la tecnica è in fase iniziale di sperimentazione, ma si è dimostrata promettente in 4 pazienti che a un anno e mezzo dall’intervento mostrano tutti dei miglioramenti, riferisce il ‘New Scientist’.
La terapia, che in precedenza aveva funzionato sui ratti, il mese scorso è stata completata su altri 18 malati all’interno di uno studio controllato verso placebo i cui risultati sono attesi per novembre. Riguardo al primo gruppo di 4 operati, infatti, il dubbio degli scienziati è che i benefici rilevati possano dipendere da un effetto placebo. La metodica utilizza cellule suine del plesso coroideo, una struttura cerebrale che produce un cocktail di fattori di crescita e segnali molecolari noti per contribuire a mantenere in Salute le cellule nervose. L’idea alla base dell’approccio è che, nei pazienti con il Parkinson, questo mix di composti possa nutrire le cellule produttrici di dopamina non ancora distrutte dalla patologia che attacca proprio le ‘fabbriche’ di questo neurotrasmettitore.
Le cellule di maiale vengono impiantate dopo essere state inserite all’interno di un rivestimento poroso di alginato ricavato dalle alghe marine, che permette alle sostanze benefiche di uscire dall”involucro’ diffondendosi nei tessuti circostanti. Ogni capsula di alginato misura circa mezzo millimetro e contiene un migliaio di cellule cerebrali di maiale. Ognuno dei 4 pazienti trattati inizialmente è stato sottoposto all’impianto di 40 capsule in un solo lato del cervello, mentre nel trial più ampio vengono introdotte 120 capsule a malato in entrambi gli emisferi. In passato la tecnica era stata usata nei malati di diabete, sottoposti in quel caso all’impianto di cellule di maiale pancreatiche. La metodica viene indagata anche per possibili applicazioni contro l’Alzheimer e la malattia di Huntington.
Uno dei dubbi generalmente avanzati su queste forme di trapianto animale-uomo è che virus dormienti nel Dna suino (retrovirus endogeni porcini) possano trasmettersi ai pazienti scatenando nuove malattie. Nei diabetici operati questo non è successo, ma per migliorare la sicurezza dell’approccio alcuni team stanno tentando di sfruttare l’editing genetico – il ‘taglia e incolla’ del Dna – per eliminare questi microrganismi dal genoma di maiale. Le cellule suine funzionano come una specie di “piccole fabbriche neurochimiche” di composti che promuovono la riparazione dei neuroni e la crescita di nuove cellule, spiega Ken Taylor di Living Cells Technologies. “Questa strategia è una buona idea – commenta Roger Barker dell’università inglese di Cambridge, che ha lavorato come consulente scientifico per la società neozelandese, ma non è coinvolto nello studio attuale – La questione è capire se sia competitiva con altre terapie cellulari contro il Parkinson”. Una di queste ha impiegato con un certo successo cellule cerebrali produttrici di dopamina prelevate da feti abortiti, ma un simile materiale non è facile da ottenere.