Presentati al Congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco), in corso a Chicago, importanti risultati contro una particolare forma di tumore del polmone, che colpisce soprattutto i giovani. Secondo il trial clinico di fase III ‘Alex’, nel carcinoma polmonare non a piccole cellule con mutazione del gene Alk, l’utilizzo di alectinib ha arrestato la progressione di malattia per più di un anno, con meno effetti collaterali rispetto al trattamento standard. “E’ lo studio più importante presentato sul tumore del polmone quest’anno all’Asco”, commenta Cesare Gridelli, direttore dell’Oncologia medica dell’azienda ospedaliera Moscati di Avellino. Fra tutti i casi di questa neoplasia, circa il 5% presenta questa particolare alterazione genetica. In Italia, a fronte di 40 mila nuovi casi l’anno, 5 mila pazienti hanno un cancro del polmone Alk-positivo. “E’ una forma aggressiva, che colpisce giovani non fumatori”, aggiunge l’oncologo italiano. Alex è “il primo studio internazionale – spiega Alice Shaw, principale autrice del lavoro e direttrice dell’Oncologia toracica al Massachusetts General Hospital di Boston – a mettere a confronto il più innovativo fra gli inibitori del gene Alk, alectinib, con il farmaco finora utilizzato (crizotinib). I dati indicano che alectinib dovrebbe essere il nuovo standard terapeutico per il trattamento di questa particolare neoplasia in fase iniziale”. Lo studio ha coinvolto 303 pazienti, a cui è stato somministrato alectinib o crizotinib. Il primo è riuscito a dimezzare il rischio di peggioramento o di decesso rispetto all’altro. Fermando la crescita del tumore per più di un anno, secondo un’analisi indipendente dei dati. “I risultati sono sorprendenti – rimarca Gridelli – non solo riguardo alla progressione di malattia, ma anche sul controllo delle metastasi cerebrali, a cui va incontro normalmente il 60% dei pazienti, e sulla tollerabilità”. La terapia del tumore al polmone non a piccole cellule con questa mutazione genetica, dunque, potrebbe cambiare. Ma affinché i pazienti su cui è efficace possano beneficiarne, “vanno fatti i test per la ricerca della mutazione al maggior numero di malati. In molti centri periferici nel nostro Paese, soprattutto al Sud – sottolinea lo specialista – si continua a non fare queste analisi. E si continua a ricorrere inutilmente alla chemioterapia. E’ necessario un cambiamento culturale: le diagnosi vanno date in modo accurate e approfondito”. Il farmaco, frutto della ricerca Roche, è approvato negli Usa e in Giappone, come prima e seconda linea di trattamento. In Europa è stato autorizzato al momento solo in seconda linea. “In Italia non è ancora disponibile – afferma Gridelli – se non in uso compassionevole, con tempi lunghissimi per averlo visti i tanti passaggi burocratici da superare”. Roche sta presentando la domanda all’Aifa per l’approvazione come trattamento di seconda linea, ma per l’ok per l’utilizzo prima linea è necessario prima il sì dell’Agenzia europea del farmaco.