Oltre 13mila le misure incluse nel dataset di flusso di biossido di carbonio (CO2) alla Solfatara di Pozzuoli nel periodo 1998-2016. Il database, il più grande al mondo per numero di misure e durata temporale, è stato realizzato da un gruppo di ricercatori della sezioni di Bologna e Napoli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’Università di Perugia e dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). I risultati dello studio, Monitoring diffuse volcanic degassing during volcanic unrests: the case of Campi Flegrei (Italy), sono stati pubblicati su Scientific Reports (www.nature.com/articles/s41598-017-06941-2)
“Oltre a rendere disponibili le informazioni del dataset alla comunità scientifica”, afferma Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, “nel lavoro vengono analizzate le variazioni delle emissioni di CO2 nell’ultimo periodo di crisi dei Campi Flegrei (1998-2016), caratterizzato da un aumento dei segnali geofisici e geochimici”.
I vulcani emettono gas attraverso plume vulcanici, fumarole e degassamento diffuso dal suolo. Il CO2 rappresenta una delle specie gassose più abbondante nei gas vulcanici e può essere rilasciato dal magma già a grande profondità.
“Nei vulcani caratterizzati dalla presenza di un sistema idrotermale, cioè di un acquifero caldo interposto tra il magma e la superficie”, spiega Carlo Cardellini, professore dell’Università di Perugia e primo autore del lavoro, “le fenomenologie osservabili (emissione dei gas, attività sismica, deformazioni del suolo ecc.) possono essere causate sia dalla risalita di magma che da processi che interessano il solo sistema idrotermale. In questi sistemi, il degassamento diffuso di CO2 dal suolo può costituire la principale, se non l’unica, modalità di rilascio di CO2 vulcanica”.
Questo è il caso della Solfatara di Pozzuoli, ubicata nella caldera (depressione vulcanica formatasi in seguito a una grande eruzione) dei Campi Flegrei. Dopo le crisi che hanno caratterizzato l’ultima parte del secolo passato (bradisisma del 1983-84), i Campi Flegrei sono nuovamente in sollevamento dal 2005. Tale processo risulta accompagnato da deboli crisi sismiche e forti variazioni nella composizione dei fluidi emessi dal vulcano. Processi che hanno portato nel 2012 il Dipartimento di Protezione Civile (DPC) a decretare una variazione del livello di allerta dello stato del vulcano da verde (quiete) a giallo (attenzione scientifica).
“Si tratta di un dataset relativo a 30 campagne di misura del flusso di CO2 dal suolo presso la Solfatara di Pozzuoli e nelle aree limitrofe, con oltre 13mila misure di flusso diffuso di CO2 elaborate con metodologie geostatistiche”, continua Cardellini.
Lo studio ha permesso di definire non solo l’origine del biossido di carbonio rilasciato dal suolo, ma anche di realizzare mappe che mostrano l’area interessata dal rilascio di CO2 vulcanica (Figura 1) e di stimare la quantità totale di CO2 emessa dal vulcano.
“Negli ultimi 20 anni”, aggiunge Cardellini, “settori dell’area della Solfatara, prima non interessati da attività di degassamento anomalo, hanno iniziato a rilasciare CO2 vulcanica. Dal 2003 a oggi l’area interessata ha avuto una espansione significativa verso Pisciarelli (Figura 2), insieme all’aumento della quantità totale di CO2 emessa attraverso il rilascio diffuso dal suolo, passando da circa 800 tonnellate di biossido di carbonio al giorno nel 2003 a circa 2800 nel 2015”.
Lo studio mette, inoltre, in luce che la quantità media di CO2 emessa dalla Solfatara di Pozzuoli, attraverso il degassamento diffuso dal suolo, sono comparabili alla quantità di CO2 rilasciata in atmosfera da vulcani attivi di media-grande taglia.
“Se al degassamento diffuso dal suolo viene sommato anche la CO2 emessa dalle fumarole, la Solfatara di Pozzuoli risulterebbe all’ottavo posto tra i vulcani maggiori emettitori di CO2 del pianeta. Un risultato che dimostra come la quantificazione del flusso di CO2 da sistemi vulcanici in attività idrotermale, come la Solfatara di Pozzuoli, possa contribuire al miglioramento della quantificazione delle emissioni globali di CO2 vulcanica in atmosfera oltre a una maggiore comprensione dell’attuale crisi flegrea”, conclude Giovanni Chiodini dell’INGV.
La ricerca realizzata ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile. Si ricorda che dal dicembre 2012 i Campi Flegrei, che vengono continuamente monitorati e studiati da INGV, sono a livello di allerta “giallo” (attenzione).