“Rimanga in attesa”. “Una cordiale voce di donna me lo ripete in italiano, inglese e spagnolo. Il telefono è tra orecchio e spalla, mentre con tutta la forza cerco di sollevare mio padre che è mezzo steso a terra, una gamba piegata sotto l’addome, l’altra tesa indietro. Respira, si lamenta e dal viso scendono a terra gocce di sangue.”
“Rimanga in attesa”.
E’ il racconto che la giornalista Valentina Ruggiu ha affidato oggi a La Repubblica dopo la morte del padre cui non è riuscita a portare soccorso. Dopo aver chiamato per tre volte al numero 118 per le emergenze ed aver ricevuto sempre la richiesta di rimanere in attesa, i familiari decidono di portare personalmente l’uomo in ospedale. Ma ormai è troppo tardi. E’ accaduto ad Albano Laziale, paese in provincia di Roma.
“Volevo aiuto e ho avuto solo una voce registrata. L’autopsia forse dirà che si è trattato di un ictus o di un’ischemia, in ogni caso darà una spiegazione a quel tonfo che ho sentito. Forse però non saprò mai perché ho atteso così tanto una risposta dal centralino unico del 112, perché abbiamo dovuto chiamare in tre, perché mi hanno rimesso altri minuti in attesa dopo aver parlato con l’operatore”.
“Mio padre si chiamava Gianfranco e faceva il cameriere – conclude – era un uomo devoto al suo lavoro. Un padre e un marito con i suoi pregi e i suoi difetti. E questo racconto è perché nessun altro padre, marito o figlio, nessun altro amico o cugino, possa morire con una voce che ti dica “Rimanga in attesa”.