Quanto è comune la nascita di sistemi planetari con un alto numero di pianeti, come il sistema solare? Importanti indizi potrebbero provenire dalle tracce lasciate dell’espulsione di antichi pianeti, visibili nelle orbite attuali dei pianeti superstiti. Questo il risultato di uno studio a firma di una coppia di ricercatori italiani pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics.
Grazie alle estese campagne osservative, si è osservato un aumento del numero di sistemi planetari multi-pianeta, che rappresentano circa il 40% di tutti gli esopianeti attualmente noti. Da una ricerca condotta un paio di anni fa – spiega l’Agenzia Spaziale Italiana – è emerso che l’eccentricità orbitale media degli esopianeti diminuisce all’aumentare del numero di pianeti nel sistema, un parametro chiamato anche molteplicità. Gli autori dello studio avevano calcolato una relazione empirica tra eccentricità media e molteplicità che però non risultava adeguata a descrivere i sistemi a più basso numero di pianeti.
Gli autori del nuovo studio, Angelo Zinzi dell’Ssdc-Asi e Inaf-Oar e Diego Turrini dell’Inaf-Iaps, hanno migliorato l’analisi precedente prendendo in considerazione le incertezze di misura sulle eccentricità orbitali, utilizzandole come “pesi” (maggiore l’incertezza, minore la rilevanza statistica della misura). In questo modo i ricercatori hanno potuto ottenere dei risultati positivi dove prima non era stato possibile, estendendo la relazione anche ai sistemi con molteplicità 2. Inoltre, inserendo il sistema solare e il sistema di Trappost-1, balzato agli onori della cronaca pochi mesi fa per essere il primo esosistema conosciuto con 7 pianeti rocciosi, di cui 3 nella fascia abitabile, hanno potuto verificare che il modello continua a funzionare anche per molteplicità superiori a 6.
Sulle modalità che hanno portato alla nascita di questo studio, Zinzi ricorda: «Questo lavoro ha avuto inizio quando ho coinvolto Diego nello sviluppo di un tool online per la visualizzazione e lo studio dei sistemi planetari. Ci siamo subito resi conto che l’eccentricità orbitale media degli esopianeti diminuiva all’aumentare del numero di pianeti nel sistema e abbiamo notato che questo comportamento era stato descritto in un articolo precedente. Utilizzando ulteriori indicatori, sviluppati originariamente per lo studio del sistema solare, siamo riusciti a migliorare i risultati ed estrarre dai dati nuove indicazioni».
Il punto di svolta è stato l’utilizzo di un parametro in grado di tener conto della storia dinamica dei vari sistemi esoplanetari da un punto di vista fisico, ovvero il deficit di momento angolare, combinazione di eccentricità ed inclinazioni orbitali, insieme a massa dei pianeti e della stella ospite. Nonostante lo scarso numero di sistemi considerati, dovuto al fatto che sono tutt’ora pochi quelli per i quali si hanno a disposizione eccentricità, inclinazioni e masse per tutti i pianeti, è stato possibile notare che all’aumento della molteplicità diminuisce anche il deficit di momento angolare.
«Questo risultato andrà verificato una volta che saranno disponibili dati su più sistemi esoplanetari», spiega Turrini. «La sua conferma ci fornirebbe un’indicazione sulla frequenza di due importanti processi nella nostra galassia. Il primo è la formazione di sistemi planetari ad alta molteplicità come il sistema solare, che a oggi fa ancora caso a sé. Il secondo è l’espulsione di pianeti dinamicamente instabili da un sistema planetario, l’indiziato principale come responsabile del numero di sistemi a bassa molteplicità e alto deficit di momento angolare che abbiamo osservato».
Per verificare questa ipotesi sono necessarie misure sempre nuove e più accurate, ma su questo punto i due ricercatori italiani guardano fiduciosi al futuro, considerato che i prossimi anni vedranno lo schieramento di una vera e propria flotta di missioni e telescopi dedicati allo studio dei sistemi esoplanetari, come le missioni Cheops e Plato dell’Esa, e telescopi della Nasa Tess e James Webb Telescope.